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La speranza

La speranza

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CATECHESI 2016-17

La  Speranza

giovedì 13 ottobre - 1° incontro – La speranza

Comincio con una informazione importante. La proposta formativa di quest’anno è molto variegata e si articola in vari momenti:

Per scegliere il tema della catechesi di queste tre sere prima dell’Avvento ho preso lo spunto dalle tante situazioni difficili di vita che incontro ogni giorno, per motivi di salute e di bisogni materiali per non parlare delle tensioni e delle guerre a livello mondiale. Guerre, genocidi di cui sentiamo in televisione e leggiamo sui giornali, e anche in posti sconosciuti e di cui abbiamo scarse notizie. Ma senza andare tanto lontano intorno a noi incontriamo tante persone smarrite, alla deriva.
Perciò mi è sembrato che abbiamo bisogno tutti insieme, vicendevolmente, di aiutarci a trovare un po’ di speranza.
Ho così pensato che sia utile parlare della speranza che, tra l’altro, è una delle tre virtù teologali. Papa Benedetto XVI ha scritto un’enciclica molto bella sulla speranza, la “Spe Salvi”, da cui prenderemo qualche spunto.
È questo un tema di catechesi vero e proprio, in quanto approfondiamo e cerchiamo di far risuonare nel cuore alcune verità della fede cristiana della quale la speranza è un cardine, insieme alla fede e alla carità.
Questa riflessione dovrebbe aiutarci ad alzare lo sguardo e a rimetterci in un atteggiamento più positivo di fronte alle tante fatiche che ciascuno di noi sta vivendo.

Come tutti sanno, la speranza è una virtù, cioè l’attitudine a fare il bene nelle vita privata e in quella pubblica, così radicata da diventare “abituale”, una “abitudine”, termine che viene dal latino “habitus” La speranza è come un abito che uno si porta dietro, cioè è un’attitudine, un modo di stare in questo mondo. Prima ancora di essere una virtù teologale la speranza è una virtù in sé stessa, tant’è vero che questo atteggiamento accompagna la vita di ogni, uomo sempre, precede il cristianesimo. Nella prossima catechesi vedremo che peculiarità assume la virtù della speranza nell’orizzonte della fede.
Ora. in primo luogo, cerchiamo di chiarire di che cosa parliamo quando parliamo di speranza.

1. La parola “speranza” appartiene al linguaggio comune, quotidiano è una parola usata ed abusata.

Quando mi capita di incontrare situazioni problematiche la riflessione che mi viene in mente è che “risolversi” la vita è un’esperienza impegnativa, non ovvia, un’esperienza che richiede tempo. Spesso non si è ancora riusciti a farla per molti motivi.
“Risolversi la vita” è mettersi col cuore in pace e dire: “ho fatto quel che potevo…”. La speranza profonda è legata a questo sentirsi risolti. È la speranza più vera, è una speranza fondamentale, è una sola, non è legata ad un avvenimento, è un qualcosa di unico che abbiamo nel cuore, non teme disillusioni e neanche può accampare delle prove. C’è perché uno la sente dentro.
Questo tipo di speranza ha a che fare con qualcosa che assomiglia alla fede, quasi a dire che, la speranza senza una qualche fede, difficilmente sta in piedi. Parlo della speranza, quella vera, quella unica.
Tuttavia in questa esperienza c’è una sorta di diaframma che si pone tra quello che io spero e il suo adempimento, e questo diaframma è il tempo. Noi ci misuriamo con il tempo che evoca la dimensione stessa della morte. La fine del tempo è il compimento di ogni speranza o, per chi non ha speranza, è il sigillo di ogni illusione. 

2. Fatta questa premessa a proposito della speranza nel linguaggio e nel pensiero comune, ci chiediamo cosa vuol dire “speranza”.

La parola speranza etimologicamente ha alla sua radice dei termini che rimandano al piacere, alla voglia. Potremmo dire che la speranza nella radice più profonda del suo significato attinge e scaturisce dal piacere di vivere e di esistere. E’ un’espressione della felicità.
Come dice il filosofo Salvatore Natoli, la speranza è una specie di energia dell’esistere, è una potenza di esistere nonostante tutto. La speranza sta insieme a questa parola “nonostante” e non sta insieme ad un’altra parola, alla parola “se”. La parola “se” è l’inganno di chi in realtà non ha una vera speranza. C’è speranza non quando dico “sono contento se…”, ma quando dico “sono contento nonostante…”
Voglio citare un piccolo pensiero di Leopardi tratto dallo Zibaldone: “La speranza è una passione, un modo di essere, così inerente e inseparabile dal sentimento della vita propriamente detta, come il pensiero e come l’amore di sé stesso, e il desiderio del proprio bene. Io vivo, dunque io spero, è un sillogismo giustissimo… Disperazione, rigorosamente parlando non si dà, ed è così impossibile ad ogni vivente come l’odio verso di sé medesimo”. Sapere che queste cose le ha scritte Leopardi fa un certo effetto.

Se la speranza è questo piacere di vivere, questa passione della vita, essa appare dove il bene non è pieno, dove la vita è segnata da lacerazioni e mancanze. Lì è il posto della speranza. È quindi un desiderio, una virtù che si declina al futuro, ed infatti il verbo greco “sperare” significa avere un’opinione, ritenere probabile, supporre. Quindi la speranza ha a che fare costantemente con la dimensione del futuro e con la dimensione della non pienezza della vita.
In questo senso la speranza non è una virtù di chi non ha paure, di chi non ha dei dubbi ma di chi ad essi si accompagna, diventando però, in quanto virtù, forte e capace di vincerli o comunque di sostenere l’uomo nonostante le prove e le delusioni.

3. A questo punto vengono spontanee due domande: