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IV Domenica di Quaresima (Gv 9,1-38b)

Carissimi,

anche in questa quarta domenica di Quaresima la pagina evangelica che ci viene proposta pone l'attenzione su un personaggio centrale, il cieco, che diventa così immagine, metafora del credente, ci aiuta a approfondire l'esperienza della fede. Certamente la narrazione dell'evangelista Giovanni, i dialoghi che abbiamo ascoltato suggeriscono molti spunti di riflessione in proposito, ci offrono una molteplicità di insegnamenti. Tuttavia oggi vogliamo per così dire concentrarci semplicemente sulla figura e sulla condizione di questo uomo con gli elementi che la descrizione evangelica ci offre. Ciò, come vedremo, è sufficiente per cogliere il messaggio centrale di questa domenica.

Si parla dunque di un uomo cieco, e più specificamente cieco dalla nascita. Questa condizione lo poneva, nella società e nella religiosità di quel tempo, in una situazione non soltanto di marginalità, di per sé comprensibile, ma più radicalmente di rifiuto, di stigmatizzazione sociale, di maledizione quasi. La sua situazione era infatti considerata come l'esito di una condanna per del male commesso. Una condanna che riguardava il suo passato, la sua storia (“Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?” domandano i discepoli), ma anche il suo presente, il rilievo sociale che gli veniva attribuito (“Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?”).

Al tempo stesso tuttavia ci viene anche detto che quest'uomo ha trovato nella sua vita un qualche adattamento nella sua situazione. Fa il mendicante, ha ancora i genitori che possiamo supporre in qualche modo lo sostengano, è comunque conosciuto dalla gente con la quale interloquisce.

Questo per esempio ci fa pensare a come ciascuno di noi trova, anche nelle situazioni più negative, delle strategie di accomodamento che talvolta ci impediscono di evolverci veramente.

Proprio rispetto a questo accomodamento il miracolo di Gesù, che è preludio della fede, il vero miracolo di cui si parla, la vista recuperata diviene per quest'uomo esperienza unica. Il suo essere cieco “dalla nascita” esprime infatti una condizione radicale, insuperabile, senza paragoni. Il poter vedere diventa quindi per lui qualcosa che non è soltanto straordinario, ma totalmente nuovo. Non si tratta quindi di un nuovo accomodamento, più vantaggioso, ma di una realtà inedita che gli cambierà la vita.

Proprio questo diventa allora l'insegnamento per noi oggi, la fede non è soltanto una possibile esperienza di cambiamento “evolutivo” dentro il cammino della nostra vita, qualcosa che la può migliorare, incrementare, ma una condizione di novità che a partire da Gesù ci offre un modo “altro” di vedere le cose, anzi di cominciare a vederle per ciò che sono nella loro verità, nel loro significato pregnante. Il primo ambito in cui questo si può realizzare è quello della coscienza. La coscienza personale, civile, la coscienza delle relazioni. C’è un bisogno urgente di costruire o ricostruire coscienze plasmate dal Vangelo in questa nostra realtà di precarietà e confusione.

Facciamo diventare nostre le parole conclusive di questo Vangelo meditandole nel raccoglimento in questa prossima settimana. Seguendo le indicazioni del libro dell'Esodo che abbiamo ascoltato veniamo anche noi alla “Tenda del convegno” per consultare il Signore. Ecco il proposito che possiamo realizzare nei prossimi giorni.

Don Gian Piero