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Il perdono

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CATECHESI 2015-16

“I cento volti della misericordia”

giovedì 29 ottobre - 3° incontro – Il perdono

Questa sera cerchiamo di fare qualche riflessione su un’esperienza di cui certamente molto si parla e che sentiamo molto vicina al nostro vivere quotidiano ma, al tempo stesso, è un’esperienza abbastanza difficile, tanto se ne parla ma poco si riesce a viverla.

Parlare di perdono ha una duplice sfaccettatura cioè l’esperienza del perdonare come pure quella dell’essere perdonati, e forse sono tre le modalità con cui siamo chiamati a vivere questa realtà, ma questo lo vedremo dopo.

La fatica del perdono la ritroviamo anche nella Bibbia e da qui vogliamo partire. È l’esperienza di Giona piccolo profeta cui la Bibbia ha dedicato un libretto molto breve e che, nella liturgia ambrosiana, si legge quasi per intero al giovedì santo, nella messa in “Coena Domini”.

Un uomo chiamato a grandi cose ma, al tempo stesso, quasi affogato nelle piccole. Un profeta chiamato da Dio per essere mandato a Ninive, la grande città, per convertire gli abitanti e che si rifiuta di fare questa cosa perché Ninive è piena di pagani stranieri e non vuole darsene pena. Fugge verso Tarsis, poi viene caricato su una nave, la nave incappa in una tempesta e lui viene gettato in mare dai marinai, viene inghiottito da una balena e risputato sulla spiaggia e da lì inizia il suo cammino di conversione. Una figura tanto piccola quanto importante che Gesù stesso prenderà ad esempio perché è la metafora della morte e della resurrezione del Signore stesso.

Ad un certo punto Giona si trova davanti a Dio che prova benevolenza per gli abitanti di Ninive

Giona è indispettito da questo atteggiamento misericordioso del Signore, come dire: tu mi mandi a convertire questi peccatori e poi li perdoni… Vive questa magnanimità di Dio quasi come un fastidio.

Questo dice il disappunto che noi proviamo di fronte alla questione del perdono. Assomigliamo al piccolo Giona che vorrebbe, nella sua ottica, vedere trionfare la giustizia nei confronti di un popolo di peccatori incalliti, invece Dio è misericordioso e perdona persino gli animali di quella città.

Perché questa difficoltà a vivere il perdono? Il perdono esprime forse il grado più alto dell’amore e della misericordia. Come dice peraltro il senso stesso della parola per-dono cioè dono portato fino in fondo, dono attraversato per intero. Questo, in qualche modo, ci spaventa o, quanto meno, ci fa sentire tutta la nostra piccolezza e fatica. Tante volte diciamo vorrei perdonare ma non ce la faccio, e mi ritrovo con un tarlo di rancore dentro, con qualcosa che non riesco a far evolvere.

Diamo ora uno sguardo rapido alle pagine della Sacra Scrittura che parlano del perdono in maniera molto ampia, per arrivare a qualche riflessione per noi.

L’immagine del perdono è espressa in tanti modi e questo dice la grande fantasia dello Spirito Santo, che ispira l’autore sacro e che fa trovare paragoni e metafore.

Innanzitutto il perdono è visto come “remissione del debito”. Non è un caso che anche noi nella preghiera del Padre Nostro diciamo: “Rimetti a noi nostri debiti (evidentemente non si parla dei debiti monetari ma dei debiti di vita), come noi li rimettiamo i nostri debitori”. È il tema del perdono.

Già nell’Antico Testamento si incontra la visione del perdono come remissione dei peccati, del debito.

Una remissione così efficace che Dio sembra non vedere più il peccato, come nell’immagine usata in Isaia, in quanto il peccato è gettato dietro le spalle.

Oppure il peccato che è semplicemente tolto, cancellato. Quando Mosé va davanti al Signore e intercede per il popolo.

Il peccato è bruciato via con un carbone ardente, è fatto scomparire,, e questo anche quando il debitore è insolvibile.

Sono bellissime le pagine del Vangelo di Luca e Matteo nell’episodio della donna peccatrice e in quello del servo debitore

Il tema è quello della misericordia e del perdono anche quando il debitore non è in grado di restituire. E quando Pietro chiede quante volte devo perdonare Gesù risponde 70 volte 7, e racconta la parabola del regno dei cieli, che è simile a un re

Questa parabola è per spiegare a Pietro che cosa vuol dire perdonare. Proprio di fronte al peccato il Dio geloso si rivela Dio di perdono.

L’allontanamento dell’uomo che meriterebbe la distruzione del popolo è per Dio l’occasione di mostrarsi Dio di tenerezza e pietà.

Il popolo non merita questa misericordia, ma “Tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato”. È un dialogo che diventa preghiera.

Possiamo dire che, umanamente e giuridicamente, il perdono non ha giustificazione perché anche nella Bibbia troviamo il tema del perdono intimamente legato al tema della giustizia e noi sappiamo che la giustizia significa dare a ciascuno il suo e cioè quello che gli spetta, ciò che merita. Il senso della giustizia che pure è presente nell’Antico Testamento è già un limite alla logica che lo precede che è la logica della vendetta. La logica della giustizia passa attraverso la legge del taglione.

C’è crudezza in questa parola, in questo cammino che parte dalla vendetta, passa attraverso la giustizia del taglione, anche questo tuttavia ha bisogno dell’esperienza della misericordia. In questo tipo di cultura la Parola di Dio da subito introduce il tema del perdono attraverso l’esortazione a stare lontano dall’odio verso fratello.

Se uno infatti nutre ira verso un altro come può chiedere l’aiuto di Dio, se egli è senza compassione per un uomo come può pregare per le sue colpe?

La giustizia e meno ancora la vendetta non sono sufficienti per ripristinare le relazioni, È necessario qualcosa d’altro: inizialmente occorre stare lontano dall’odio e dal rancore, ma piano piano significherà avvicinarsi alla misericordia e al perdono. La misericordia è il punto di arrivo.

Anche la nostra realtà è segnata da tanti rancori.

Dopo questa brevissima carrellata sull’Antico Testamento arriviamo a Gesù, al Nuovo Testamento. In Gesù la misericordia di Dio trova la sua pienezza. Egli è mandato dal Padre non come giudice ma come salvatore la cui gioia sta nel perdonare. Pensiamo alla parabola del Figliol Prodigo (Lc, 15). Il padre buono gioisce ed esprime il perdono verso il figlio che ritorna facendo una festa e chiede e insiste che anche l’altro figlio entri in questa festa. Una cornice assolutamente lieta, la gioia del Padre e la gioia di Gesù sta nel perdonare in quanto nessuno deve andare perduto. Ricordiamo il racconto della pecora smarrita

Il pastore lascia le 99 pecore per cercare quella smarrita. Gesù è il modello della misericordia, del perdono.

Rileggiamo un altro brano

Per vincere il male con il bene il cristiano è invitato a perdonare come Gesù stesso.

Questa frase può essere letta in due modi: “come il Signore vi ha perdonato” nel senso che il Signore è il primo che vi ha perdonato, oppure come invito all’imitazione, come lui fa così fate anche voi.

Arriviamo così un secondo momento della nostra riflessione cercando di tradurre tutto questo nel nostro vivere. Cosa vuol dire perdonare, perdonarsi, chiedere perdono? Un’esperienza tutt’altro che facile. Ci sono almeno due se non tre dimensioni del perdono:

  1. Chiedere perdono non è così facile; se ci domandiamo quante volte abbiamo chiesto perdono ci accorgeremmo che sono poche, mentre se cerchiamo di ricordare i momenti in cui ci è sembrato di dover perdonare sono tantissimi. Questo fa pensare. Quante volte ho chiesto perdono nella mia vita? Quante volte ho dato o ho sentito che avrei dovuto perdonare? Innumerevoli.
    Chiedere perdono richiede molta umiltà. Non sempre crediamo che l’altro, e magari anche Dio, possa perdonarci. Senso di indegnità.
    Ci sentiamo degni di essere amati? Portiamo nel cuore sensi di colpa, disonore, rimorsi, manca sempre qualcosa? Manca l’esperienza della riconciliazione.
    Oppure pensiamo di non avere bisogno di perdono (Lc 15). Siamo dentro in un mondo dove ognuno di noi pensa sempre di avere ragione. Siamo portati ad autogiustificarci. È difficile ammettere di sbagliare.
    Abbiamo timore di deludere l’altro chiedendo perdono. Occorre molta umiltà e semplicità di cuore.
    C’è anche un altro grosso tema, quello della riparazione dell’offesa. Se io chiedo perdono ci sono situazioni in cui dovrei anche riparare il mio errore. È il tema della penitenza, mi impegno a fare qualcosa di concreto per rimediare al torto fatto anche se non sempre è possibile. A questo si lega il tema del rimorso.
  2. Il perdono da offrire. A monte di questo gesto c’è un cammino. Il perdono vero non si costruisce mai né presto né in fretta, ha bisogno di tempo, perché il perdono dell’altro ha bisogno di un distacco profondo da ciò che è stato compiuto. Solo nel momento in cui ci separiamo dal male che abbiamo patito, possiamo guardare a questo con uno sguardo veramente autentico e ispirato da Dio.
    Ricordare è importante, il perdono non è una questione di memoria, è una questione di volontà. Il perdono dipende da una volontà forte. Gesù risorto è il Cristo con le stigmate, porta con se i segni delle sue ferite, porta con se i segni della passione, le stigmate sono quello che rimane del male che subiamo. Il perdono non ha a che fare con la smemoratezza, ha a che fare con una decisione paziente, lenta, orante.
    Vedere la propria parte di responsabilità, non c’è mai il torto da una parte e la ragione dall’altra. Se voglio perdonare devo anche cercare di capire quale è stata la mia parte di responsabilità.
    Per imparare a perdonare occorre rinunciare a voler giudicare tutto (Lc 6, 37), non voler pretendere di capire tutto (Dio solo sa), occorre recuperare il senso della vita come mistero, cioè come qualcosa che non ci è totalmente chiaro e comprensibile.
    Non emettere sentenze inappellabili, questo vuol dire mettere la parola fine ad una situazione, ad una relazione. Per perdonare occorre imparare ad offrire all’altro un’altra opportunità, se questa possibilità non la offriamo il perdono non è autentico.
    Non chiudere l’altro nel suo comportamento. Per quanto male uno abbia commesso in lui c’è dell’altro non c’è solo il male che ha compiuto.
    Nel perdono si rinuncia a far giustizia da se stessi e si rinuncia a voler spiegare tutto, chiarire tutto. Non è un regolamento di conti, è un gesto unilaterale. Il perdono non è mai un obbligo, perché passa attraverso un percorso che non sempre e non tutti sanno fare.
    Una riprova del cammino di perdono che facciamo viene dalla capacità di essere disposti a tacere. Ti perdono e mi basta così
  3. Disponibilità a perdonare se stessi. Non è facile, c’è gente che si porta dentro dei fardelli che non riesce a volte ad identificare nella loro chiarezza e che fanno diventare la vita molto faticosa. Qualche volta bisogna perdonare anche se stessi. E’ uno sguardo di benevolenza verso sé, non indulgenza di comodo. È essere interlocutori della grande misericordia di Dio. E quindi se Dio mi ha voluto bene, posso volermi bene anche io, posso darmi il permesso di “stare qui”, “adesso”, “in pace” perché alla fine c’è una Misericordia che ci avvolge, ci valorizza e ci accetta. Noi cristiani abbiamo una grandissima e straordinaria risorsa che ci parla continuamente del perdono ed è il gesto di Gesù nel sacramento della Riconciliazione.
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