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La Catechesi Adulti

La speranza

La speranza

CATECHESI 2016-17

La  Speranza

giovedì 13 ottobre - 1° incontro – La speranza

Comincio con una informazione importante. La proposta formativa di quest’anno è molto variegata e si articola in vari momenti:

  • La catechesi del giovedì sera in S. G. Bono
    • tre incontri prima dell’Avvento: 13 e 27 ottobre e 10 novembre
    • tre incontri prima della Quaresima: 19 gennaio, 2 e 16 febbraio
    • altri due incontri il 4 e 18 maggio
  • tre sere di esercizi spirituali per adulti il 21-22-23 novembre alle ore 21 a S. Bernardetta
  • sei incontri di scuola biblica
    • tre nei sabati 7-14-21 gennaio alle ore 18 in SS Nazaro e Celso
    • tre nei sabati 6-13-20 maggio alle ore 18 in SS Nazaro e Celso
  • quattro incontri quaresimali nei venerdì 17-24-31 marzo e 7 aprile alle ore 21 in S. G. Bono
  • tre incontri decanali sulla famiglia alle ore 15.30, il 12 novembre a S. G. Barbarigo, 14 gennaio a S. M. Ausiliatrice e il 1° aprile a S. Rita

Per scegliere il tema della catechesi di queste tre sere prima dell’Avvento ho preso lo spunto dalle tante situazioni difficili di vita che incontro ogni giorno, per motivi di salute e di bisogni materiali per non parlare delle tensioni e delle guerre a livello mondiale. Guerre, genocidi di cui sentiamo in televisione e leggiamo sui giornali, e anche in posti sconosciuti e di cui abbiamo scarse notizie. Ma senza andare tanto lontano intorno a noi incontriamo tante persone smarrite, alla deriva.
Perciò mi è sembrato che abbiamo bisogno tutti insieme, vicendevolmente, di aiutarci a trovare un po’ di speranza.
Ho così pensato che sia utile parlare della speranza che, tra l’altro, è una delle tre virtù teologali. Papa Benedetto XVI ha scritto un’enciclica molto bella sulla speranza, la “Spe Salvi”, da cui prenderemo qualche spunto.
È questo un tema di catechesi vero e proprio, in quanto approfondiamo e cerchiamo di far risuonare nel cuore alcune verità della fede cristiana della quale la speranza è un cardine, insieme alla fede e alla carità.
Questa riflessione dovrebbe aiutarci ad alzare lo sguardo e a rimetterci in un atteggiamento più positivo di fronte alle tante fatiche che ciascuno di noi sta vivendo.

Come tutti sanno, la speranza è una virtù, cioè l’attitudine a fare il bene nelle vita privata e in quella pubblica, così radicata da diventare “abituale”, una “abitudine”, termine che viene dal latino “habitus” La speranza è come un abito che uno si porta dietro, cioè è un’attitudine, un modo di stare in questo mondo. Prima ancora di essere una virtù teologale la speranza è una virtù in sé stessa, tant’è vero che questo atteggiamento accompagna la vita di ogni, uomo sempre, precede il cristianesimo. Nella prossima catechesi vedremo che peculiarità assume la virtù della speranza nell’orizzonte della fede.
Ora. in primo luogo, cerchiamo di chiarire di che cosa parliamo quando parliamo di speranza.

1. La parola “speranza” appartiene al linguaggio comune, quotidiano è una parola usata ed abusata.

  • Ad un primo livello la speranza è un’esperienza futile e superficiale. Infatti a questo livello questa parola si accompagna sempre a un complemento banale: “spero che domani sia bel tempo”, “speriamo che domani riusciamo a fare la tal cosa”... A questo livello molto banale, la parola speranza è usata quasi impropriamente. Tanto è vero che potremmo usare al suo posto espressioni come “mi piacerebbe”, “mi auguro di poter….”. In questo senso la speranza è un’esperienza molto superficiale e si riferisce sempre a qualcosa che non dipende dalla mia volontà ma a qualcosa che sta fuori di me. È sempre connessa a ciò che trovo, a ciò che incontro. Il suo contrario non è la disperazione ma, al massimo, è una delusione piccola o grande. Le speranze futili non conoscono disperazione ma delusione e le delusioni preludono a una nuova speranza. Dopo una delusione cioè si ricomincia daccapo con una nuova speranza e cioè “se piove prenderò l’ombrello”.
  • Nel linguaggio comune c’è un secondo modo, più importante, di intendere la speranza. Accanto alle “speranze superficiali”, infatti, ci sono le speranze più importanti. In questi caso l’utilizzo di questa parola non si può sostituire. Prendiamo ad esempio la frase: “spero di saper educare bene i miei figli” …. Qui la speranza ha a che fare con dei progetti, con delle responsabilità. Perciò in questo caso le delusioni sono più importanti, in qualche modo sono “disperanti” ma non tolgono la possibilità di ricominciare daccapo.
    Le speranze importanti qualificano la nostra vita e attivano delle energie per realizzarle, anche se sappiamo che queste speranze non dipendono dalla nostra buona volontà, ma dalle circostanze, dagli altri, dipendono da tanti fattori e congiunture che possono capitare o meno.
  • Ed infine, sempre nel linguaggio comune, c’è una terza dimensione della speranza, è la speranza più profonda, che anima sempre la capacità di ricominciare di fronte alle delusioni, di fronte alle fatiche e ai fallimenti. È una sorta di “speranza fondamentale”, che non ha un oggetto. O meglio, questo oggetto non può essere chiuso nei confini della nostra esperienza. La “speranza fondamentale”, che essendo una virtù è anche molto legata al carattere positivo o negativo di ogni persona, è una sorta di salvezza, è un’allusione ad un compimento, ad una pienezza di vita che ciascuno di noi può portare dentro. Speranza non nella sua compiutezza, ma come grande tensione. Questo atteggiamento o virtù non conosce età, la può avere un giovane come un anziano.

Quando mi capita di incontrare situazioni problematiche la riflessione che mi viene in mente è che “risolversi” la vita è un’esperienza impegnativa, non ovvia, un’esperienza che richiede tempo. Spesso non si è ancora riusciti a farla per molti motivi.
“Risolversi la vita” è mettersi col cuore in pace e dire: “ho fatto quel che potevo…”. La speranza profonda è legata a questo sentirsi risolti. È la speranza più vera, è una speranza fondamentale, è una sola, non è legata ad un avvenimento, è un qualcosa di unico che abbiamo nel cuore, non teme disillusioni e neanche può accampare delle prove. C’è perché uno la sente dentro.
Questo tipo di speranza ha a che fare con qualcosa che assomiglia alla fede, quasi a dire che, la speranza senza una qualche fede, difficilmente sta in piedi. Parlo della speranza, quella vera, quella unica.
Tuttavia in questa esperienza c’è una sorta di diaframma che si pone tra quello che io spero e il suo adempimento, e questo diaframma è il tempo. Noi ci misuriamo con il tempo che evoca la dimensione stessa della morte. La fine del tempo è il compimento di ogni speranza o, per chi non ha speranza, è il sigillo di ogni illusione. 

2. Fatta questa premessa a proposito della speranza nel linguaggio e nel pensiero comune, ci chiediamo cosa vuol dire “speranza”.

La parola speranza etimologicamente ha alla sua radice dei termini che rimandano al piacere, alla voglia. Potremmo dire che la speranza nella radice più profonda del suo significato attinge e scaturisce dal piacere di vivere e di esistere. E’ un’espressione della felicità.
Come dice il filosofo Salvatore Natoli, la speranza è una specie di energia dell’esistere, è una potenza di esistere nonostante tutto. La speranza sta insieme a questa parola “nonostante” e non sta insieme ad un’altra parola, alla parola “se”. La parola “se” è l’inganno di chi in realtà non ha una vera speranza. C’è speranza non quando dico “sono contento se…”, ma quando dico “sono contento nonostante…”
Voglio citare un piccolo pensiero di Leopardi tratto dallo Zibaldone: “La speranza è una passione, un modo di essere, così inerente e inseparabile dal sentimento della vita propriamente detta, come il pensiero e come l’amore di sé stesso, e il desiderio del proprio bene. Io vivo, dunque io spero, è un sillogismo giustissimo… Disperazione, rigorosamente parlando non si dà, ed è così impossibile ad ogni vivente come l’odio verso di sé medesimo”. Sapere che queste cose le ha scritte Leopardi fa un certo effetto.

Se la speranza è questo piacere di vivere, questa passione della vita, essa appare dove il bene non è pieno, dove la vita è segnata da lacerazioni e mancanze. Lì è il posto della speranza. È quindi un desiderio, una virtù che si declina al futuro, ed infatti il verbo greco “sperare” significa avere un’opinione, ritenere probabile, supporre. Quindi la speranza ha a che fare costantemente con la dimensione del futuro e con la dimensione della non pienezza della vita.
In questo senso la speranza non è una virtù di chi non ha paure, di chi non ha dei dubbi ma di chi ad essi si accompagna, diventando però, in quanto virtù, forte e capace di vincerli o comunque di sostenere l’uomo nonostante le prove e le delusioni.

3. A questo punto vengono spontanee due domande:

  • cosa pensiamo noi della nostra speranza? qual è la nostra speranza? come coltiviamo noi la speranza in quanto virtù da costruire, da alimentare e da custodire?
  • qual è la peculiarità della speranza cristiana? l’avvenimento di Gesù che cosa ha portato dentro questa esperienza tipicamente umana presente in tutte le condizioni di vita? Nel prossimo incontro cercheremo di dare risposta a questa domanda.