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Il Padre Nostro (6)

Il Padre Nostro (6)

CATECHESI 2017-18

Il Padre Nostro

giovedì 12 aprile - 6° incontro – Il Padre Nostro

Questa sera ci soffermiamo sulla penultima invocazione del “Padre nostro” che in questo momento è soggetta a dibattito e cambiamento. Mi riferisco all’invocazione: “non ci indurre in tentazione”.

“Non indurci in tentazione”. Può essere articolata e divisa in due momenti:

  1. una riflessione sulla “tentazione”: che cosa è, a che cosa ci si riferisce, qual è il suo contesto.
  2. una riflessione sul verbo “non indurci”.

a) Che cosa è la tentazione

L’esperienza umana conosce la tentazione. Tentazione non è una parola sconosciuta, è nel linguaggio comune, ne abbiamo un qualche conoscenza. L’uomo di tutti i tempi conosce la tentazione:

  • Giobbe, cap. 7: “Tutta la vita degli uomini sulla terra non è forse tentazione?”.
  • Così pure salmo 17: “In te io sarò liberato dalla tentazione”.

Tutto questo non nasce soltanto da una sorta di debolezza umana. In realtà l’esperienza della tentazione è radicata nella nostra stessa costituzione. Siamo fatti un po’ così. Il nostro modo di essere, di vivere, è attraversato da una ambivalenza: da una parte il nostro vivere è solidale con il destino della terra, con la sua caducità, vulnerabilità, col limite, ma, al tempo stesso, esprime anche un dinamismo, un’evoluzione, un progresso.

Noi siamo dentro a questa dinamica a partire dalla nostra corporeità; viviamo la dimensione dell’evoluzione, perché cambiamo, cresciamo, pensiamo, ma viviamo anche fortemente la nostra limitatezza, basta una malattia e tutte le cose si bloccano.

Questa dimensione ci riporta costantemente a una grande domanda di significato che troviamo espressa per esempio nel libro del

  • Qoèlet, 2, 22: “[22] Allora quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole?

Questa domanda, in maniera ancora più forte, si presenta a noi, qui, oggi, a noi che non siamo più giovani, ingenui, ma che ne abbiamo viste di tutti i colori, che abbiamo avuto le nostre delusioni e ci misuriamo con i limiti delle cose, questa domanda si ripropone fortemente.

D’altra parte questo nostro esserci, contiene una dimensione assolutamente originale, è la dimensione del desiderio. Nessun altro essere sulla terra vive l’esperienza del desiderare, e con il desiderio noi abitiamo il cielo, spezziamo i limiti, vogliamo andare più in là degli schemi definiti. Non è un problema di semplice buona volontà, è un impulso che non si spegne e quando si spegne è perché c’è una malattia. La mancanza di desiderio è una malattia.

Nel nostro mondo occidentale, evoluto, noi diamo tutto e subito ai nostri figli e nipoti. In questo modo non insegniamo loro ad aspettare, a progettare. Togliamo loro la fatica, offriamo di più del necessario. E’ un grave errore educativo perché spegniamo una delle esperienze fondamentali del vivere che è il desiderio.

Siracide 18, 6: “[6]Quando uno ha finito, allora comincia; quando si ferma, allora rimane perplesso.

La Sacra Scrittura chiama questi modi di essere: “esistenza nella carne” ed “esistenza nello spirito”.

  • Romani 8, 5-6: “[5]Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. [6]Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace.
  • Gv. 6, 63: “[63]E' lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. [64]Ma vi sono alcuni tra voi che non credono».
  • Gal. 5, 16: “[16]Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; [17]la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.

Il dramma della condizione umana, se così possiamo chiamarlo, consiste nel fatto che queste due dimensioni, che pure sono intrecciate, alle volte prevalgono l’una sull’altra e qui noi viviamo l’esperienza della contraddizione.

  • Romani 7, 15-25: “[15]Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. [16]Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; [17]quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. [18]Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; [19]infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. [20]Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. [21]Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. [22]Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, [23]ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. [24]Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? [25]Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato.

Queste parole illustrano bene il senso della contraddizione, di questa ambivalenza. Questa realtà che ci accompagna giorno per giorno, nelle piccole cose e nelle grandi cose, è il terreno su cui si radica l’esperienza della tentazione. Questa ambivalenza crea la possibilità della tentazione, nel momento in cui l’uomo non accoglie e non accetta la sua finitezza.

Cos’è dunque la tentazione?

La tentazione per eccellenza è il provare a fare a meno dello Spirito per stare solo nella carne, è la tentazione dettata da quella che viene chiamata concupiscenza, cioè l’eccesso del desiderio, la brama.

  • Giacomo 1, 12-15: “[12]Beato l'uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano. [13]Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male. [14]Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce; [15]poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand'è consumato, produce la morte.

La tentazione è l’esperienza del “provare”, del seguire l’attrazione, la seduzione che diventa passione, quel sentimento cioè che è più grande di me, che non so controllare, che “patisco” e, in un certo senso, “subisco”. La tentazione, il “provare”, ha dentro di sé anche la convinzione di poter recedere: “io provo, ma se va male torno indietro”.

In questo senso la tentazione si contrappone all’altra grande esperienza umana che è la scelta.

La scelta di una situazione, di una circostanza, di una persona, suppone una libertà, non una passione, se mai una passione passata per il vaglio di una scelta, della ragionevolezza, attraverso il vaglio dell’attesa e quindi non più passione ma prospettiva, proposta. Passa dunque attraverso la libertà e soprattutto attraverso la fiducia.

Non c’è scelta vera della vita che non abbia una componente di fiducia perché ciò che io scelgo non è mai totalmente disponibile alla mia libertà, quando io scelgo. Qualunque cosa essa sia, c’è una piccola o grande quota di fiducia che ciò che sto per scegliere è un bene per me. Io non posso saperlo in tutto e per tutto, mi devo fidare della vita, di chi ho di fronte… il meccanismo della fiducia è insito nella scelta.

Nella tentazione invece la fiducia non è necessaria, c’è soltanto la concupiscenza, la seduzione e la passione.

L’esperienza della tentazione è un’esperienza pienamente umana, ed è anche, a volte, un’esperienza pericolosa, in cui si può mettere a rischio la vita.

D’altra parte sappiamo anche dalla nostra esperienza che le scelte importanti della vita ci hanno chiesto spesso molta fiducia (come nel caso del matrimonio).

Gesù ha vissuto l’esperienza della tentazione.

  • Mt. 4: Le tentazioni di Gesù durante i 40 giorni nel deserto
    [1]Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2]E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3]Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane». [4]Ma egli rispose: «Sta scritto:
    Non di solo pane vivrà l'uomo,
    ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
    [5]Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6]e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto:
    Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo,
    ed essi ti sorreggeranno con le loro mani,
    perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede».
    [7]Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:
    Non tentare il Signore Dio tuo».
    [8]Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9]«Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». [10]Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto:
    Adora il Signore Dio tuo
    e a lui solo rendi culto».
    [11]Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano.

Le tentazioni di Gesù non sono tanto verso il peccato ma nella ricerca fedele della volontà di Dio, una ricerca nel cammino terreno del Signore che si scontra con delusioni, rifiuti, incomprensioni.

  • Mt. 26, 38: “[41]Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». [42]E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà».

Nell’orto degli ulivi Gesù sente quasi un senso di costrizione. Ha la tentazione di scappare. Gesù ha vissuto la tentazione e chiede di pregare per non entrare in tentazione. Nelle narrazioni evangeliche le tentazioni di Gesù sono una sorta di ombra che lo accompagna durante tutto il suo cammino.

Vivere le tentazioni per Gesù è una espressione del suo condividere la condizione umana, è la soglia prima del peccato, è la condizione drammatica dell’uomo che rischia di perdersi.

  • Eb. 2, 18: “[18]Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

La conclusione del Padre Nostro diventa una conclusione cristologica: “non ci indurre in tentazione” perché Gesù è stato indotto in tentazione. E il suo vivere la tentazione è stato un altro modo per vivere l’esperienza della condivisione. Gesù non ha condiviso con noi soltanto il mistero del dolore, ha condiviso anche il mistero della tentazione, che è la soglia che precede il peccato.

b) “Non indurci” in tentazione: Dio può indurre in tentazione?

Facciamo una distinzione:

Nell’Antico Testamento il tentare è sinonimo di mettere alla prova.

Dio mette alla prova: mette alla prova Abramo (episodio di Abramo e Isacco)

Dio mette alla prova Giobbe, lascia a Satana il potere di privarlo di tutto.

Dio mette alla prova Tobia che subisce traversie fisiche e morali.

Dt. 13,4: “il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se amate il Signore vostro Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima.

L’esperienza della prova è rivelatrice di quello che siamo autenticamente. Fino a quando le cose sono tranquille e normali, tutto sommato ci si barcamena. E’ quando arriva qualche problema che emerge lo spessore di chi resiste, di chi si rigenera e si rialza o di chi viene azzerato e demolito dalla vita. Ci sono persone in situazioni drammatiche che resistono e conservano lucidità.

È la prova che fa emergere quello che siamo.

  • 1PT 1, 6-7: “[6]Perciò siate ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, [7]perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore

Nel Nuovo Testamento invece la tentazione ha un significato diverso, è legata al male, all’egoismo, proviene direttamente dal maligno, dal demonio. Dunque, non è Dio l’artefice della tentazione.

Cosa si dice nel Padre Nostro?

Il testo greco utilizza una parola che in realtà potrebbe essere tradotta “non farci entrare nella tentazione”, utilizza la parola “entrare” nella quale c’è quasi una dimensione spaziale. Vuol dire essere preservati da situazioni critiche, in cui si comincia ad essere affascinati dal male.

Chiediamo a Dio di farci la grazia di non metterci in certe situazioni perché non siamo così sicuri di come reagiremmo. Chiediamo quindi a Dio di “tenerci una mano sulla testa”, di proteggerci, di non farci arrivare alla soglia del pericolo. Chiediamo una sorta di “prevenzione” rispetto alla nostra debolezza, invochiamo che Dio arrivi prima della nostra libertà, che rimane integra ma che è molto insicura e fragile in certe situazioni.

Questo, forse, è il significato di “non indurci, non farci cadere in tentazione”.

Quale può essere per noi oggi la tentazione capitale?

La tentazione è quella dell’abbandono della fede nella sua dinamica esistenziale. Non tanto in ciò che crediamo in termini di principi e di idee, ma nella dimensione esistenziale della fede. Cioè la perdita del desiderio della venuta del Regno. Il Vangelo sostanzialmente annuncia la venuta e la presenza del Regno ma noi a tutto questo ci crediamo ancora? O ci stiamo ritirando dal dinamismo del Regno di Dio?

La tentazione oggi è quella di tirare i remi in barca, di fare di ogni erba un fascio, è quella di lasciar andare le cose senza speranza, di non impegnarsi…

È la tentazione di abbandonare il Signore come hanno fatto i discepoli nel Getsemani

  • Mt 26, 47-56: “[47]Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. [48]Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». [49]E subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. [50]E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. [51]Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio. [52]Allora Gesù gli disse: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. [53]Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? [54]Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». [55]In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. [56]Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.