fbpx
PAROLE E GESTI PER PREGARE - 2

PAROLE E GESTI PER PREGARE - 2

CATECHESI 2016-17

Parole e gesti per pregare

venerdì 24 marzo - 2° incontro – La preghiera di Tobia: dal risentimento alla benedizione

Questa sera, per introdurre il tema della preghiera, propongo due brani tratti dal libro di Tobia. Il capitolo 3 e il capitolo 13.

(Noi conosciamo il cantico di Tobia al capitolo 13. Del capitolo 13, però, spesso si saltano le parti più problematiche come il versetto 14 con le sue maledizioni, come se nella nostra vita non ci capitasse mai di benedire qualcuno e di mandare all’inferno qualcun altro. Tobia era un tipo molto umano e scorrendo il capitolo 13 non si arriva alla benedizione come prima preghiera. Occorre fare un lungo cammino prima di arrivarci.)

Spero che conosciate la storia di Tobia che sarebbe più corretto chiamare Tobi, in quanto Tobia era il nome di suo figlio. È la storia di un ebreo, un uomo giusto che vive in esilio a Ninive. Le sue fortune sono alterne. Noi lo incrociamo nel capitolo 3 in una condizione di vita problematica. Per capire la sua situazione ricordiamo la finale del capitolo 2 nel quale si presenta Tobia e la sua famiglia mentre stanno celebrando la festa di Pentecoste.

Per la nostra festa di Pentecoste, cioè la festa delle Settimane, avevo fatto preparare un buon pranzo e mi posi a tavola: 2la tavola era imbandita di molte vivande. Dissi al figlio Tobia: «Figlio mio, va', e se trovi tra i nostri fratelli deportati a Ninive qualche povero, che sia però di cuore fedele, portalo a pranzo insieme con noi. Io resto ad aspettare che tu ritorni, figlio mio». 3Tobia uscì in cerca di un povero tra i nostri fratelli. Di ritorno disse: «Padre!». Gli risposi: «Ebbene, figlio mio?». «Padre - riprese - uno della nostra gente è stato ucciso e gettato nella piazza; l'hanno strangolato un momento fa». 4Io allora mi alzai, lasciando intatto il pranzo; tolsi l'uomo dalla piazza e lo posi in una camera in attesa del tramonto del sole, per poterlo seppellire. 5Ritornai, mi lavai e mangiai con tristezza, 6ricordando le parole del profeta Amos su Betel:

«Si cambieranno le vostre feste in lutto,
tutti i vostri canti in lamento».

7E piansi. Quando poi calò il sole, andai a scavare una fossa e ve lo seppellii.

Secondo la legge ebraica, se una persona toccava un cadavere non poteva più celebrare la festa.

(A questo proposito ricordiamo l’episodio ricordato dal vangelo in cui Nicodemo, uno dei maestri della legge, il quale sapeva che se decideva di prendersi cura del cadavere di Gesù non avrebbe potuto celebrare la Pasqua, la più grande delle feste. Nicodemo, però, fa una scelta coraggiosa a favore di Gesù.)

Tobia fa proprio questo: udita la notizia che gli porta suo figlio abbandona la festa, va a nascondere il cadavere per poterlo seppellire il giorno dopo, e piange. Come reagisce la gente di fronte a questo comportamento da uomo giusto? Di fronte a questo suo impegno a mettere in atto una delle opere di misericordia? (Seppellire i morti è più importante dell’osservanza della legge.)

8I miei vicini mi deridevano dicendo: «Non ha più paura! Proprio per questo motivo lo hanno già ricercato per ucciderlo. È dovuto fuggire e ora eccolo di nuovo a seppellire i morti».

(Non si fa fatica a leggere nella vicenda di Tobia anche alcuni aspetti della vita di Gesù, dei suoi discepoli e della vita stessa di Nicodemo che viene deriso per aver difeso Gesù.)

Ma le disgrazie di Tobia non finiscono qui.

9Quella notte, dopo aver seppellito il morto, mi lavai, entrai nel mio cortile e mi addormentai sotto il muro del cortile. Per il caldo che c'era tenevo la faccia scoperta, 10ignorando che sopra di me, nel muro, stavano dei passeri. Caddero sui miei occhi i loro escrementi ancora caldi, che mi produssero macchie bianche, e dovetti andare dai medici per la cura. Più essi però mi applicavano farmaci, più mi si oscuravano gli occhi, a causa delle macchie bianche, finché divenni cieco del tutto.

Ciò che fa soffrire Tobia non è solo una malattia di tipo fisico ma è la fatica di stare al mondo. Tobia ha timore che il futuro gli riserverà delle cose difficili e dure. Diventare cieco è quasi come un tirarsi fuori dal mondo, essere escluso. Ma sembra che Tobia a sua volta si ritiri arrabbiato con il mondo, forse arrabbiato anche con Dio che permette tutte queste cose.

11In quel tempo mia moglie Anna lavorava a domicilio, 12tessendo la lana che rimandava poi ai padroni, ricevendone la paga. Ora nel settimo giorno del mese di Distro, quando tagliò il pezzo che aveva tessuto e lo mandò ai padroni, essi, oltre la mercede completa, le fecero dono di un capretto da mangiare. 13Quando il capretto entrò in casa mia, si mise a belare. Chiamai allora mia moglie e le dissi: «Da dove viene questo capretto? Non sarà stato rubato? Restituiscilo ai padroni, poiché non abbiamo nessun diritto di mangiare una cosa rubata». 14Ella mi disse: «Mi è stato dato in più del salario». Ma io non le credevo e le ripetevo di restituirlo ai padroni e per questo mi vergognavo di lei. Allora per tutta risposta mi disse: «Dove sono le tue elemosine? Dove sono le tue buone opere? Ecco, lo si vede bene da come sei ridotto!».

Tobia ha l’animo rattristato e rattrista tutti quelli che gli stanno intorno. Non vede più niente di buono. La sua cecità è simbolica. Ormai Tobia è chiuso al bene. Anche una cosa buona gli sembra cattiva. Quando si è un po’ tesi, arrabbiati col mondo, ce la prendiamo con chi ci sta più vicino; Tobia se la prende con la moglie e questa gli risponde per le rime. Nella risposta della moglie forse troviamo anche quello che pensa Tobia: “ma a cosa mi sono servite tutte le mie buone opere? Perché sono stato giusto? Ho rischiato la vita per un’opera di misericordia valeva la pena che mo prendessi cura dei miei fratelli nella fede se adesso loro mi deridono?”

Il cuore di Tobia è un cuore “ri-sentito”. Il “ri” dice il fatto che noi su certe cose ci torniamo continuamente, facciamo fatica a digerirle; ci dimentichiamo tante cose della vita ma i torti subiti facciamo grandissima fatica a dimenticarli. Tobia si sente come uno che ha subito dei torti e ultimamente li ha subiti da Dio ma non ha il coraggio di dire questa cosa a Dio in modo esplicito, lo dice alla moglie in modo indiretto.

Arriviamo al capitolo 3:

1 Con l'animo affranto dal dolore, sospirai e piansi. Poi iniziai questa preghiera di lamento: 2«Tu sei giusto, Signore, e giuste sono tutte le tue opere. Ogni tua via è misericordia e verità. Tu sei il giudice del mondo. 3Ora, Signore, ricordati di me e guardami.

Io non posso guardarti, sono diventato cieco, non ti vedo più, anche mia moglie ce l’ha con me, non vedo più neanche me stesso.

Non punirmi per i miei peccati e per gli errori miei e dei miei padri. 4Violando i tuoi comandamenti, abbiamo peccato davanti a te. Ci hai consegnato al saccheggio; ci hai abbandonato alla prigionia, alla morte e ad essere la favola, lo scherno, il disprezzo di tutte le genti, tra le quali ci hai dispersi. 5Ora, quando mi tratti secondo le colpe mie e dei miei padri, veri sono tutti i tuoi giudizi, perché non abbiamo osservato i tuoi comandamenti, camminando davanti a te nella verità. 6Agisci pure ora come meglio ti piace; da' ordine che venga presa la mia vita, in modo che io sia tolto dalla terra e divenga terra, poiché per me è preferibile la morte alla vita. Gli insulti bugiardi che mi tocca sentire destano in me grande dolore. Signore, comanda che sia liberato da questa prova; fa' che io parta verso la dimora eterna. Signore, non distogliere da me il tuo volto. Per me infatti è meglio morire che vedermi davanti questa grande angoscia, e così non sentirmi più insultare!».

Ci sono almeno due modi di leggere questa preghiera.

Alcuni sottolineano il fatto che, nonostante tutto, Tobia si rivolge ancora a Dio. Altri invece ritengono che, nonostante si rivolga a Dio, Tobia in realtà non ha più grande fiducia in Dio. Io propendo per questa seconda opzione, anche se sono un po’ solitario nel leggerla così. Secondo me, più di una volta Tobia chiede di morire un po’ perché è un castigo che ci siamo meritati in quanto peccatori, però se questo castigo è dato da Dio….

A volte noi facciamo una preghiera nella quale cerchiamo di salvare Dio perché non abbiamo il coraggio di protestare ma, in realtà, questo modo di pregare dimostra che non ci crediamo e preferiamo morire piuttosto che vivere. Anche noi finiamo per dire come Tobia “Questa vita che tu mi hai dato non vale la pena, non è una vita”. E, proprio perché ci reputiamo giusti, non abbiamo coraggio di protestare con Dio, anzi continuiamo a dire: 2«Tu sei giusto, Signore, e giuste sono tutte le tue opere.

Tobia pensa: “Ma dove sono giuste queste opere? Mi prendono in giro, anche mia moglie mi deride.”

La verità vi farà liberi, dice Gesù. Ma a volte la verità è dura, perché noi abbiamo i nostri schemi anche su Dio, non siamo così coraggiosi da avere una preghiera profondamente umana, come quella di Giobbe. Ricordate come finisce il libro di Giobbe? Dopo che Giobbe era arrivato ad essere accusato di bestemmia, Dio stesso interviene e dice: 7Dopo che il Signore ebbe rivolto queste parole a Giobbe, disse a Elifaz di Teman: «La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due amici, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe.

Tobia ha paura di dire cose non rette secondo lo schema che ha di Dio, ma Dio non ha bisogno di essere difeso da Tobia, non ha bisogno di sentirsi dire che è giusto se pensiamo che non lo sia. E’ meglio dire che quello che ci capita non è giusto, se è così che lo sentiamo. È meglio che diciamo che questa cosa non mi quadra… non è giusto… In questa affermazione c’è qualcosa di molto più originario, vuol dire che ho dentro di me la capacità di dire riguardo ad una situazione che non va bene, e lo dico perché Dio ha messo dentro di me un desiderio profondo di vita. In qualche modo se io dico che una cosa va bene, mentre non è così, tradisco Dio, tradisco il fatto che lui mi ha messo dentro questo desiderio profondo di bene e io devo essere fedele a questo, non agli schemi che ci siamo dati noi su Dio. A volte chi difende Dio è disposto a sacrificare i fratelli, i figli, i genitori…

È vero, il Signore è il Signore della storia, il Signore non ha messo dentro di noi inutilmente il desiderio di vita, è vero che la sua è una promessa di vita e se non la sradichiamo, magari con gli occhi chiusi, siamo condotti a vedere le grandi opere di Dio.

Il resto del libro di Tobia è il racconto del figlio che si mette in viaggio, trova moglie che viene liberata da una sorta di maledizione, grazie ad un angelo, Raffaele che significa “Dio cura, Dio si prende cura, Dio guarisce”. Alla fine Dio guarisce anche Tobia. Tobia riacquista la vista e soprattutto comincia a guardare le cose in un altro modo, perché questa è il frutto dell’azione di Dio.

Così, quando sembra che in Tobia si spenga il desiderio di vita, Dio gli mette davanti le occasioni perché il desiderio di vita si risvegli. Il figlio si sposa con Sara, hanno un figlio: c’è un futuro che diventa anche possibilità di godere della vita, per Tobia, per Sara, per tutta la famiglia.

Così Tobia esce da risentimento, dalla paura. Al termine di tutto Tobia ritorna a gioire della vita e nasce la preghiera del capitolo 13

1 Allora Tobi disse:
2«Benedetto Dio che vive in eterno,
benedetto il suo regno;
egli castiga e ha compassione,
fa scendere agli inferi, nelle profondità della terra,
e fa risalire dalla grande perdizione:
nessuno sfugge alla sua mano.

Questa volta quello che Tobia dice è vero perché lo ha sperimentato. Era sceso nella profondità degli inferi dove non c’è più nessun gusto per la vita, ma è stato tirato fuori. Non si è tirato fuori da solo ma Dio lo ha tirato fuori attraverso la storia del figlio e della nuora che diventa la sua stessa storia. I primi 9 versetti ci presentano Dio come Signore della storia, e gioca molto sul rapporto castigo/compassione. (v. 2, v. 5 e alla fine del v. 10)

3Lodatelo, figli d'Israele, davanti alle nazioni,
perché in mezzo ad esse egli vi ha disperso
4e qui vi ha fatto vedere la sua grandezza;
date gloria a lui davanti a ogni vivente,
poiché è lui il nostro Signore, il nostro Dio,
lui il nostro Padre, Dio per tutti i secoli.
5Vi castiga per le vostre iniquità,
ma avrà compassione di tutti voi
e vi radunerà da tutte le nazioni,
fra le quali siete stati dispersi.

Tobia cerca di darsi una spiegazione di come avvengono le cose. Ora l’accento non è più sul castigo, Tobia ha il coraggio di riconoscerlo, l’accento è sulla compassione. Perciò la sua benedizione a Dio diventa anche un invito alla lode (v. 3). La benedizione e la lode sono possibili perché Dio lo ha tirato fuori dal suo risentimento, l’ha guarito e gli ha aperto finalmente gli occhi e vede che Dio è duro ma è infinitamente misericordioso (castiga fino alla terza e alla quarta generazione ma è misericordioso fino alla millesima generazione, Esodo.). Il problema è che noi, se va bene, vediamo la terza e la quarta generazione e rischiamo di vedere solo il castigo. Noi non abbiamo una vista tale da farci vedere la compassione e la misericordia oltre la millesima generazione. La rilettura della storia serve a farci capire qual è il modo di agire di Dio.

C’è un modo comune di leggere le cose. (v.6)

6Quando vi sarete convertiti a lui
con tutto il cuore e con tutta l'anima
per fare ciò che è giusto davanti a lui,
allora egli ritornerà a voi
e non vi nasconderà più il suo volto.

Ma già nell’Antico Testamento c’è un altro modo. Se Dio aspettasse che noi torniamo a lui, potrebbe aspettare invano, (libro di Osea). Visto che noi non cambiamo, è cambiato Dio, si è convertito Lui e ha deciso di perdonarci prima. La dinamica non è più peccato-pentimento-perdono ma è peccato-perdono perché tu ti possa convertire. E’ la parabola del figliol prodigo: quando il figlio torna non è ancora convertito, torna perché ha fame. Il padre lo tratta da figlio perché impari che è figlio, così come tratta il figlio maggiore perché impari ad essere figlio e fratello. Così fa Gesù e così il papa Francesco continua a dirci: il Signore perdona perché noi ci convertiamo, cambia prima lui.

Tobia non c’è ancora arrivato, la rivelazione è storica, si impara un po’ alla volta. Dopo avere sperimentato che Dio guarisce e ti restituisce alla gioia della vita tu cosa fai?

7Ora guardate quello che ha fatto per voi
e ringraziatelo con tutta la voce;
benedite il Signore che è giusto
e date gloria al re dei secoli.

Benedici e lodi anche se sei in esilio e anche l’esilio diventa occasione di testimonianza.

8Io gli do lode nel paese del mio esilio
e manifesto la sua forza e la sua grandezza
a un popolo di peccatori.
Convertitevi, o peccatori,
e fate ciò che è giusto davanti a lui;
chissà che non torni ad amarvi
e ad avere compassione di voi.

9Io esalto il mio Dio,
l'anima mia celebra il re del cielo
ed esulta per la sua grandezza.

L’esilio che era considerato una disgrazia - la dispersione, la diaspora da Gerusalemme - diventa occasione di annuncio perché si può vedere nei giusti la qualità del loro Dio.

(Questo è avvenuto anche all’inizio della Chiesa. Le persecuzioni a Gerusalemme obbligarono i cristiani ad andarsene e questo diventò occasione di annuncio ai pagani.)

L’esilio, allora, lo devi leggere come un castigo, come una disgrazia? L’insegnamento è: in qualunque situazione tu sei, guarda il bene che puoi fare, non rattristarti se intorno a te pochi capiscono, se sei preso in giro per questo, chiedi al Signore la grazia di credere fermamente che la sua parola è una parola di vita e, se tu la vivi, questa è fonte di vita anche per te.

Non è sempre facile, evidentemente: la storia di Tobia ce lo racconta. Ma se questo non avviene si diventa duri, risentiti e non si vede più il bene che c’è intorno a noi e anche le cose buone diventano cattive. Anche tua moglie non è più una persona di cui ti fidi.

I versetti dal 10 al 18 sono un sogno su Gerusalemme, con un invito all’inizio a dar lode.

10 Tutti ne parlino
e diano lode a lui in Gerusalemme.
Gerusalemme, città santa,
egli ti castiga per le opere dei tuoi figli,
ma avrà ancora pietà per i figli dei giusti.

11Da' lode degnamente al Signore
e benedici il re dei secoli;
egli ricostruirà in te il suo tempio con gioia,
12per allietare in te tutti i deportati
e per amare in te tutti gli sventurati,
per tutte le generazioni future.
13Una luce splendida brillerà sino ai confini della terra:
nazioni numerose verranno a te da lontano,
gli abitanti di tutti i confini della terra
verranno verso la dimora del tuo santo nome,
portando in mano i doni per il re del cielo.
Generazioni e generazioni esprimeranno in te l'esultanza
e il nome della città eletta durerà per le generazioni future.
14Maledetti tutti quelli che ti insultano!
Maledetti tutti quelli che ti distruggono,
che demoliscono le tue mura,
rovinano le tue torri
e incendiano le tue abitazioni!
Ma benedetti per sempre tutti quelli che ti temono.
15Sorgi ed esulta per i figli dei giusti,
tutti presso di te si raduneranno
e benediranno il Signore dei secoli.
Beati coloro che ti amano,
beati coloro che esulteranno per la tua pace.
16Beati coloro che avranno pianto per le tue sventure:
gioiranno per te e vedranno tutta la tua gioia per sempre.

Quando Tobia canta questo cantico, Gerusalemme è una città in rovina. Quello di Tobia, quindi, è un sogno fondato sulle promesse di Dio. La nuova Gerusalemme, che a noi fa venire in mente il libro dell’Apocalisse, non sarà opera di uomini ma opera di Dio, di un Dio fedele che ha scelto Gerusalemme e che non cambia idea, come ha scelto ciascuno di noi e non cambia idea.

Ha scelto ciascuno di noi e non cambia idea. Come nella parabola del figlio prodigo, non è vero che se tu te ne vai e sprechi tutti i soldi che tuo padre ti ha dato, lui non ti considera più figlio. E’ vero al contrario che anche se tu non ti consideri più figlio, lui continua a considerarsi padre e a considerarti figlio.

La promessa di Dio su Gerusalemme è una promessa che non viene meno, ma non è solo su Gerusalemme: ogni giusto in qualunque parte del mondo può essere un segno di Dio come Tobia guarito che passa dal risentimento alla benedizione. Così Gerusalemme in mezzo alle nazioni può essere segno di un Dio che la resuscita anche dalle rovine. La Gerusalemme che nasce qui è piccola cosa, però è un inizio e sarà un segno.

Comprendiamo allora il perché di questa parte così lunga su Gerusalemme, sulla benedizione, sull’invito ad amare Gerusalemme, sulle grandi immagini usate per descrivere questa città. Gerusalemme è la città della pace; il fatto che ritorni grande per opera di Dio, e che tu riconosca questa grandezza, vuol dire la possibilità per tutti i popoli di una pace reale.

Questa città è costruita in un modo straordinario, come la Gerusalemme dell’Apocalisse, ha caratteristiche che dicono la sua grandezza, la sua bellezza, le porte, le mura… Non è mai stata così Gerusalemme, evidentemente.

Anima mia, benedici il Signore, il grande re,
17perché Gerusalemme sarà ricostruita
come città della sua dimora per sempre.
Beato sarò io, se rimarrà un resto della mia discendenza
per vedere la tua gloria e dare lode al re del cielo.
Le porte di Gerusalemme saranno ricostruite
con zaffiro e con smeraldo
e tutte le sue mura con pietre preziose.
Le torri di Gerusalemme saranno ricostruite con oro
e i loro baluardi con oro purissimo.
Le strade di Gerusalemme saranno lastricate
con turchese e pietra di Ofir.

18Le porte di Gerusalemme risuoneranno di canti di esultanza,
e in tutte le sue case canteranno: «Alleluia!
Benedetto il Dio d'Israele
e benedetti coloro che benedicono il suo santo nome
nei secoli e per sempre!»».

Potremmo dire: ciascuno di noi è chiamato ad una preghiera che sia capace di elaborare anche il negativo, anche le contraddizioni della vita. Una preghiera che sia un reale affidamento a Dio, magari anche una lite con Dio, dove lasciamo venire a galla il risentimento e ci lasciamo guardare dal Signore. Nella misura in cui facciamo questo possiamo diventare anche noi benedizione. Qui la benedizione viene cantata innanzitutto per Gerusalemme, ma ogni giusto, ognuno che sa fare questo lavoro, che sa vivere il bene nonostante tutto e in qualunque situazione, che lo sa cercare, è davvero una benedizione, così come una città che sia testimonianza della fedeltà di Dio e del suo perdono diventa realmente città della pace.

In che senso questi due testi possono essere un invito alla preghiera?

  • Innanzitutto sono un invito una preghiera sincera. Diciamo a Dio quello che abbiamo nel cuore senza paura, anche perché tirandolo fuori già perde gran parte della sua bruttezza. Cerchiamo di non fare delle preghiere che siano un “lucidare” Dio, che non ha bisogno di essere lucidato da noi. Facciamo delle preghiere che leggano la nostra vita così come è, che dicano a Dio quello che siamo, quello che vediamo e lasciamoci dire da lui qual è l’atteggiamento giusto. E per essere sincera la nostra preghiera deve confrontarsi con quella di Gesù. Come era la preghiera di Gesù? Come è stata la preghiera di Gesù nel Getsemani? Qual è stata la preghiera che Gesù ci ha insegnato?
  • La seconda cosa riguarda un amore per la Chiesa simile all’amore che Tobia ha per Gerusalemme, ricordando che, prima ancora che fatta da noi, la Chiesa è fatta dall’opera dello Spirito di Gesù. Come diciamo nell’Eucaristia: “Non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa”. (Noi invece spesso diciamo: guarda a me che sono bravo e non ai peccati della tua Chiesa, diciamo il contrario, abbiamo sempre obiezioni per tutto e per tutti.)
    Desiderare il bene della Chiesa, secondo il cuore di Gesù, vuol dire anche desiderare il bene di questo mondo, perché vuol dire desiderare il bene di una comunità che si sa amata non perché è brava ma perché il Signore ci vuole bene e noi abbiamo bisogno di essere voluti bene.
    Non so se abbiamo l’abitudine di pregare per la Chiesa, di pregare vedendo la bellezza della Chiesa nonostante che non tutto nella Chiesa sia sempre bello. Non dobbiamo chiudere gli occhi in nessun senso. La Chiesa è Santa e immacolata per grazia del Signore, certo, però anche per la fatica che ciascuno fa per cogliere il dono del Signore.

Concludendo, il mio invito è soprattutto ad una preghiera sincera, che ci aiuti a guarire dal rischio, che a volte corriamo di fronte alle cose sbagliate che ci sono nel mondo, di essere risentiti, perché il risentimento non porta da nessuna parte, non fa bene a nessuno, non fa bene al nostro fegato, non fa bene agli altri.

Il secondo invito è a considerare la possibilità di una preghiera che legga la storia come abitata da Dio, dove anche le cose storte non sono segno che Dio non c’è, ma sono l’occasione per chiedere con più insistenza a Dio che, anche attraverso di noi, faccia il bene che può.