CATECHESI 2017-18
Il Padre Nostro
giovedì 26 aprile - 7° incontro – Il Padre Nostro
Questa sera ci soffermiamo sulla invocazione con cui si conclude il Padre Nostro: “ma liberaci dal male”. Cominciamo con alcune osservazioni preliminari.
È una conclusione brusca dal momento che, diversamente da altre preghiere giudaiche, non termina con una lode a Dio.
Inoltre, è una conclusione che riprende il tema dell’invocazione precedente: “non ci indurre in tentazione”, tanto è vero che nella redazione di Luca questa frase non la troviamo.
Questa conclusione lascia aperti degli interrogativi che permettono per un verso di cercare delle risposte personali e per un altro fa intravedere che la parola di Dio non ha come scopo di dare una risposta a tutto. (Il cammino della fede cristiana entra nella dimensione del mistero, non di qualcosa di cui non si capisce nulla, ma come di una realtà che non si finisce mai di comprendere. La dimensione del mistero ci apre ad un approfondimento costante, ad una scoperta che si rinnova, legata alla parola di Dio più che al dogma. Ci rendiamo conto che per essere cristiani non bisogna aver capito tutto, non è necessario.)
Indubbiamente tra le ultime due invocazioni del Padre Nostro esiste un parallelismo.
Questa conclusione possiamo vederla come un grido, un gemito. Non sembra una preghiera ma piuttosto l’invocazione forte di chi percepisce esattamente un pericolo.
Dopo le osservazioni preliminari rispondiamo a due domande:
- cosa si intende per “male”?
- a cosa fa riferimento il termine: “liberaci”?
a) Di quale male parla il Padre Nostro? Quando noi pensiamo al male pensiamo a tante cose:
- Il male può essere qualcosa di cattivo, di malvagio; può essere il male che ha a che fare con il peccato; è il male morale,
- Il male è anche ciò che è legato al limite umano, le miserie che ostacolano la vita,
Già in questa prima distinzione ci sono sfumature molto importanti. A cosa si riferisce il Padre Nostro? Probabilmente ad entrambe. Infatti Gesù nei Vangeli ha cercato di porre rimedio ad entrambe, pensiamo ai miracoli. Tuttavia il male a cui si riferisce il Padre Nostro non può essere soltanto la malattia. Gesù non è venuto a fare il guaritore delle malattie…
C’è poi un terzo possibile significato di male:
- il male può essere inteso anche come una realtà che si esprime in termini personali, personificati, cioè il male è il “Maligno”. In questo caso la conclusione della preghiera sarebbe ancora più profonda: “liberaci dal Maligno” e questa sembra essere il significato più accreditato.
Questo significato darebbe al Padre Nostro un sapore apocalittico ed escatologico. C’è una lettura del Padre Nostro che va in questa direzione: lo abbiamo già visto a proposito dell’invocazione “dacci oggi il nostro pane quotidiano” in cui il pane non è tanto quello materiale quanto il pane celeste, l’eucaristia, è il pane per la vita eterna, qualche cosa che va al di là della semplice contingenza.
Quando si parla di contesto apocalittico ed escatologico ci si vuol riferire a ciò che avverrà alla fine della storia, al grande scontro definitivo tra Cristo e Satana. In questo senso è molto probabile che quando Gesù nel Padre Nostro insegna a dire “liberaci dal Male” intenda riferirsi alla liberazione dal Maligno che è colui contro il quale si compirà la lotta finale della storia.
Di questa lotta finale è piena tutta la Sacra Scrittura e in particolare il Nuovo Testamento.
- Col. 1, 13: “[13]E' lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, [14]per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati.
Questo inno inizia parlando di Gesù come immagine del Dio invisibile… Questo inno potrebbe essere letto anche al posto del Credo.
- 2 Tess.2, 7-8: “[7]Il mistero dell'iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. [8]Solo allora sarà rivelato l'empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo, [9]la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri.”
- Mc., 3, 27: “[27]Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa. [28]In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; [29]ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna». [30]Poiché dicevano: «E' posseduto da uno spirito immondo».
Qui si vede come l’iniquità è già presente e attiva nella storia, è una presenza oscura e misteriosa.
- Lc. 11, 20: “[20]Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio.
In questa lotta che comincia con la presenza del Signore sta anche la dimensione essenziale dell’annuncio, che è quello dell’avvento del regno di Dio. Non è un caso che il Padre Nostro inizi proprio così: “venga il tuo Regno”. Se questo è l’annuncio l’allontanamento di Satana ne è una conseguenza.
- Lc. 10, 17-20: “[17]I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». [18]Egli disse: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. [19]Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. [20]Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli».
È la venuta del Regno dei cieli
Qual è il senso del male da cui chiediamo la liberazione nel Padre Nostro?
Può essere il male fisico, il male morale, il male che è il Maligno. Ciascuno di noi può pregare il Padre Nostro tenendo conto di queste tre dimensioni e orientando il proprio sentire in modi diversi. Il termine che viene usato, il male, si presta a molteplici letture, ma l’ultima sembra la più pertinente.
b) Vediamo ora il secondo termine: “liberaci”. È una parola probabilmente mal tradotta: il verbo greco richiama un concetto più esteso e cioè vuol dire: “strappare dal pericolo di cadere nell’abisso”. “Liberaci” più che alla liberazione da una qualche forma di prigionia (liberazione evoca un’idea di prigione; essere liberato da qualcosa che mi blocca, che mi incatena), andrebbe intesa come “strappare dal pericolo di cadere”, evoca la dimensione del cammino; il cadere è tipico di chi è in movimento, dal momento che chi è fermo non cade.
“Liberaci” allora sarebbe da intendere come “Strappaci dal pericolo di cadere nell’abisso, proteggici contro le difficoltà del cammino, difendici dalle insidie che tramano sulla nostra strada”. L’immagine del cammino che viene ostacolato, un’immagine molto bella per descrivere la vita cristiana in movimento, è ripresa spesso nei salmi. A titolo di esempio ne leggiamo qualcuno.
- Salmo 139 (140):
[2]Salvami, Signore, dal malvagio,
proteggimi dall'uomo violento,
[3]da quelli che tramano sventure nel cuore
e ogni giorno scatenano guerre.
…
[6]I superbi mi tendono lacci
e stendono funi come una rete,
pongono agguati sul mio cammino.
Le parole Padre Nostro riprendono questi concetti.
- Salmo 68 (69):
[2]Salvami, o Dio:
l'acqua mi giunge alla gola.
[3]Affondo nel fango e non ho sostegno;
sono caduto in acque profonde
e l'onda mi travolge.
Anche qui è la preghiera del giusto che rischia di cadere, di trovare una strada piena di insidie.
Concludendo possiamo notare che l’invocazione “liberaci dal male” trova un’analogia con il versetto: “non abbandonarci nella tentazione”. Perché tutto questo? Evidentemente noi nella vita di fede sentiamo profondamente di essere salvati, redenti e viviamo l’anticipo della pienezza di questa redenzione. Nella nostra umanità, però, sperimentiamo frequentemente il nostro limite, il nostro peccato, il peccato degli altri, le strutture di peccato (come venivano chiamate anni fa, ad es. le ingiustizie, la finanza speculativa, ecc.), quelle che ostacolano le persone semplici che con queste devono fare i conti, volenti o nolenti.
Noi sperimentiamo questa duplice dimensione della vita: da una parte la fede che ci dice “tu sei salvato, e quindi hai speranza” e dall’altra la nostra umanità che ancora incontra il mistero del limite. Forse è per questo motivo che il Padre Nostro comincia parlando di Dio e finisce parlando di Satana.
“Liberaci dal Maligno” questa è l’ultima parola. In questa duplicità sta tutta la nostra vita, le nostre fatiche. Di questa duplicità parla San Paolo quando dice.
- Rm. 8, 18-22: “[18]Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. [19]La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; [20]essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza [21]di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. [22]Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto;”
Molto bella questa immagine dell’attesa, delle doglie, del gemito ma al tempo stesso anche della caducità, della corruzione e della dimensione definitiva nella quale noi abbiamo un riscatto che ci è stato dato come caparra già oggi.
Recuperiamo quindi il senso del nostro cammino. Questa è la nostra condizione e la nostra realtà di credenti. Il non credente può anche decidere di stare fermo. Ma lo stare fermi è proprio la tentazione dalla quale noi credenti chiediamo di essere liberati, come dicevamo la volta scorsa quando parlavamo della tentazione di “tirare i remi in barca”… Il cristiano è colui che è in cammino, in movimento; alle volte va di corsa, alle volte lentamente, alle volte inciampando, alle volte cadendo ma è sempre in movimento.
Come conclusione leggo un salmo bellissimo che di questo cammino fa un canto: il cammino del pio credente che si reca al Tempio di Gerusalemme e lo vede da lontano. Vede il tempio del Signore ricoperto da materiali lucenti che lo facevano risplendere anche a chilometri di distanza. Il pellegrino attraversa la valle del pianto ma è sostenuto dal desiderio e dalla nostalgia di arrivare alla casa del Signore. Lì e soltanto lì potrà fermarsi.
- Salmo 83 (84): Canto di pellegrinaggio
….
[2]Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti!
[3]L'anima mia languisce
e brama gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente.
[4]Anche il passero trova la casa,
la rondine il nido,
dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari,
Signore degli eserciti, mio re e mio Dio.
[5]Beato chi abita la tua casa:
sempre canta le tue lodi!
[6]Beato chi trova in te la sua forza
e decide nel suo cuore il santo viaggio.
[7]Passando per la valle del pianto
la cambia in una sorgente,
anche la prima pioggia
l'ammanta di benedizioni.
[8]Cresce lungo il cammino il suo vigore,
finché compare davanti a Dio in Sion.
[9]Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,
porgi l'orecchio, Dio di Giacobbe.
[10]Vedi, Dio, nostro scudo,
guarda il volto del tuo consacrato.
[11]Per me un giorno nei tuoi atri
è più che mille altrove,
stare sulla soglia della casa del mio Dio
è meglio che abitare nelle tende degli empi.
[12]Poiché sole e scudo è il Signore Dio;
il Signore concede grazia e gloria,
non rifiuta il bene
a chi cammina con rettitudine.
[13]Signore degli eserciti,
beato l'uomo che in te confida.
Questo salmo è come una sintesi nella quale ci viene detto che anche passando per la valle del pianto, in virtù della fede, la possiamo cambiare in una sorgente e che, lungo il cammino, addirittura, cresce non la stanchezza ma il vigore. E’ un paradosso: il pellegrino che fa chilometri di strada, più cammina più si stanca; il salmo invece dice che il vigore del pellegrino cresce quanto più si avvicina al tempio del Signore.
Questo è un orizzonte di grande speranza. Nel Padre Nostro possiamo trovare tanti spunti di speranza che lo fanno diventare una preghiera personale. Col Padre Nostro possiamo chiederci:
- Qual è la mia tentazione…
- Qual è il male da cui voglio essere liberato…
- Qual è il pane quotidiano di cui ho bisogno…
- Qual è il regno che aspetto…
CATECHESI 2017-18
Il Padre Nostro
giovedì 12 aprile - 6° incontro – Il Padre Nostro
Questa sera ci soffermiamo sulla penultima invocazione del “Padre nostro” che in questo momento è soggetta a dibattito e cambiamento. Mi riferisco all’invocazione: “non ci indurre in tentazione”.
“Non indurci in tentazione”. Può essere articolata e divisa in due momenti:
- una riflessione sulla “tentazione”: che cosa è, a che cosa ci si riferisce, qual è il suo contesto.
- una riflessione sul verbo “non indurci”.
a) Che cosa è la tentazione
L’esperienza umana conosce la tentazione. Tentazione non è una parola sconosciuta, è nel linguaggio comune, ne abbiamo un qualche conoscenza. L’uomo di tutti i tempi conosce la tentazione:
- Giobbe, cap. 7: “Tutta la vita degli uomini sulla terra non è forse tentazione?”.
- Così pure salmo 17: “In te io sarò liberato dalla tentazione”.
Tutto questo non nasce soltanto da una sorta di debolezza umana. In realtà l’esperienza della tentazione è radicata nella nostra stessa costituzione. Siamo fatti un po’ così. Il nostro modo di essere, di vivere, è attraversato da una ambivalenza: da una parte il nostro vivere è solidale con il destino della terra, con la sua caducità, vulnerabilità, col limite, ma, al tempo stesso, esprime anche un dinamismo, un’evoluzione, un progresso.
Noi siamo dentro a questa dinamica a partire dalla nostra corporeità; viviamo la dimensione dell’evoluzione, perché cambiamo, cresciamo, pensiamo, ma viviamo anche fortemente la nostra limitatezza, basta una malattia e tutte le cose si bloccano.
Questa dimensione ci riporta costantemente a una grande domanda di significato che troviamo espressa per esempio nel libro del
- Qoèlet, 2, 22: “[22] Allora quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole?
Questa domanda, in maniera ancora più forte, si presenta a noi, qui, oggi, a noi che non siamo più giovani, ingenui, ma che ne abbiamo viste di tutti i colori, che abbiamo avuto le nostre delusioni e ci misuriamo con i limiti delle cose, questa domanda si ripropone fortemente.
D’altra parte questo nostro esserci, contiene una dimensione assolutamente originale, è la dimensione del desiderio. Nessun altro essere sulla terra vive l’esperienza del desiderare, e con il desiderio noi abitiamo il cielo, spezziamo i limiti, vogliamo andare più in là degli schemi definiti. Non è un problema di semplice buona volontà, è un impulso che non si spegne e quando si spegne è perché c’è una malattia. La mancanza di desiderio è una malattia.
Nel nostro mondo occidentale, evoluto, noi diamo tutto e subito ai nostri figli e nipoti. In questo modo non insegniamo loro ad aspettare, a progettare. Togliamo loro la fatica, offriamo di più del necessario. E’ un grave errore educativo perché spegniamo una delle esperienze fondamentali del vivere che è il desiderio.
Siracide 18, 6: “[6]Quando uno ha finito, allora comincia; quando si ferma, allora rimane perplesso.”
La Sacra Scrittura chiama questi modi di essere: “esistenza nella carne” ed “esistenza nello spirito”.
- Romani 8, 5-6: “[5]Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. [6]Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace.”
- Gv. 6, 63: “[63]E' lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. [64]Ma vi sono alcuni tra voi che non credono».
- Gal. 5, 16: “[16]Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; [17]la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.”
Il dramma della condizione umana, se così possiamo chiamarlo, consiste nel fatto che queste due dimensioni, che pure sono intrecciate, alle volte prevalgono l’una sull’altra e qui noi viviamo l’esperienza della contraddizione.
- Romani 7, 15-25: “[15]Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. [16]Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; [17]quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. [18]Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; [19]infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. [20]Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. [21]Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. [22]Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, [23]ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. [24]Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? [25]Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato.”
Queste parole illustrano bene il senso della contraddizione, di questa ambivalenza. Questa realtà che ci accompagna giorno per giorno, nelle piccole cose e nelle grandi cose, è il terreno su cui si radica l’esperienza della tentazione. Questa ambivalenza crea la possibilità della tentazione, nel momento in cui l’uomo non accoglie e non accetta la sua finitezza.
Cos’è dunque la tentazione?
La tentazione per eccellenza è il provare a fare a meno dello Spirito per stare solo nella carne, è la tentazione dettata da quella che viene chiamata concupiscenza, cioè l’eccesso del desiderio, la brama.
- Giacomo 1, 12-15: “[12]Beato l'uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano. [13]Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male. [14]Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce; [15]poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand'è consumato, produce la morte.”
La tentazione è l’esperienza del “provare”, del seguire l’attrazione, la seduzione che diventa passione, quel sentimento cioè che è più grande di me, che non so controllare, che “patisco” e, in un certo senso, “subisco”. La tentazione, il “provare”, ha dentro di sé anche la convinzione di poter recedere: “io provo, ma se va male torno indietro”.
In questo senso la tentazione si contrappone all’altra grande esperienza umana che è la scelta.
La scelta di una situazione, di una circostanza, di una persona, suppone una libertà, non una passione, se mai una passione passata per il vaglio di una scelta, della ragionevolezza, attraverso il vaglio dell’attesa e quindi non più passione ma prospettiva, proposta. Passa dunque attraverso la libertà e soprattutto attraverso la fiducia.
Non c’è scelta vera della vita che non abbia una componente di fiducia perché ciò che io scelgo non è mai totalmente disponibile alla mia libertà, quando io scelgo. Qualunque cosa essa sia, c’è una piccola o grande quota di fiducia che ciò che sto per scegliere è un bene per me. Io non posso saperlo in tutto e per tutto, mi devo fidare della vita, di chi ho di fronte… il meccanismo della fiducia è insito nella scelta.
Nella tentazione invece la fiducia non è necessaria, c’è soltanto la concupiscenza, la seduzione e la passione.
L’esperienza della tentazione è un’esperienza pienamente umana, ed è anche, a volte, un’esperienza pericolosa, in cui si può mettere a rischio la vita.
D’altra parte sappiamo anche dalla nostra esperienza che le scelte importanti della vita ci hanno chiesto spesso molta fiducia (come nel caso del matrimonio).
Gesù ha vissuto l’esperienza della tentazione.
- Mt. 4: Le tentazioni di Gesù durante i 40 giorni nel deserto
[1]Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2]E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3]Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane». [4]Ma egli rispose: «Sta scritto:
Non di solo pane vivrà l'uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
[5]Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6]e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo,
ed essi ti sorreggeranno con le loro mani,
perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede».
[7]Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:
Non tentare il Signore Dio tuo».
[8]Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9]«Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». [10]Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto:
Adora il Signore Dio tuo
e a lui solo rendi culto».
[11]Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano.
Le tentazioni di Gesù non sono tanto verso il peccato ma nella ricerca fedele della volontà di Dio, una ricerca nel cammino terreno del Signore che si scontra con delusioni, rifiuti, incomprensioni.
- Mt. 26, 38: “[41]Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». [42]E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà».
Nell’orto degli ulivi Gesù sente quasi un senso di costrizione. Ha la tentazione di scappare. Gesù ha vissuto la tentazione e chiede di pregare per non entrare in tentazione. Nelle narrazioni evangeliche le tentazioni di Gesù sono una sorta di ombra che lo accompagna durante tutto il suo cammino.
Vivere le tentazioni per Gesù è una espressione del suo condividere la condizione umana, è la soglia prima del peccato, è la condizione drammatica dell’uomo che rischia di perdersi.
- Eb. 2, 18: “[18]Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.”
La conclusione del Padre Nostro diventa una conclusione cristologica: “non ci indurre in tentazione” perché Gesù è stato indotto in tentazione. E il suo vivere la tentazione è stato un altro modo per vivere l’esperienza della condivisione. Gesù non ha condiviso con noi soltanto il mistero del dolore, ha condiviso anche il mistero della tentazione, che è la soglia che precede il peccato.
b) “Non indurci” in tentazione: Dio può indurre in tentazione?
Facciamo una distinzione:
Nell’Antico Testamento il tentare è sinonimo di mettere alla prova.
Dio mette alla prova: mette alla prova Abramo (episodio di Abramo e Isacco)
Dio mette alla prova Giobbe, lascia a Satana il potere di privarlo di tutto.
Dio mette alla prova Tobia che subisce traversie fisiche e morali.
Dt. 13,4: “il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se amate il Signore vostro Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima.
L’esperienza della prova è rivelatrice di quello che siamo autenticamente. Fino a quando le cose sono tranquille e normali, tutto sommato ci si barcamena. E’ quando arriva qualche problema che emerge lo spessore di chi resiste, di chi si rigenera e si rialza o di chi viene azzerato e demolito dalla vita. Ci sono persone in situazioni drammatiche che resistono e conservano lucidità.
È la prova che fa emergere quello che siamo.
- 1PT 1, 6-7: “[6]Perciò siate ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, [7]perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore”
Nel Nuovo Testamento invece la tentazione ha un significato diverso, è legata al male, all’egoismo, proviene direttamente dal maligno, dal demonio. Dunque, non è Dio l’artefice della tentazione.
Cosa si dice nel Padre Nostro?
Il testo greco utilizza una parola che in realtà potrebbe essere tradotta “non farci entrare nella tentazione”, utilizza la parola “entrare” nella quale c’è quasi una dimensione spaziale. Vuol dire essere preservati da situazioni critiche, in cui si comincia ad essere affascinati dal male.
Chiediamo a Dio di farci la grazia di non metterci in certe situazioni perché non siamo così sicuri di come reagiremmo. Chiediamo quindi a Dio di “tenerci una mano sulla testa”, di proteggerci, di non farci arrivare alla soglia del pericolo. Chiediamo una sorta di “prevenzione” rispetto alla nostra debolezza, invochiamo che Dio arrivi prima della nostra libertà, che rimane integra ma che è molto insicura e fragile in certe situazioni.
Questo, forse, è il significato di “non indurci, non farci cadere in tentazione”.
Quale può essere per noi oggi la tentazione capitale?
La tentazione è quella dell’abbandono della fede nella sua dinamica esistenziale. Non tanto in ciò che crediamo in termini di principi e di idee, ma nella dimensione esistenziale della fede. Cioè la perdita del desiderio della venuta del Regno. Il Vangelo sostanzialmente annuncia la venuta e la presenza del Regno ma noi a tutto questo ci crediamo ancora? O ci stiamo ritirando dal dinamismo del Regno di Dio?
La tentazione oggi è quella di tirare i remi in barca, di fare di ogni erba un fascio, è quella di lasciar andare le cose senza speranza, di non impegnarsi…
È la tentazione di abbandonare il Signore come hanno fatto i discepoli nel Getsemani
- Mt 26, 47-56: “[47]Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. [48]Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». [49]E subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. [50]E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. [51]Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio. [52]Allora Gesù gli disse: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. [53]Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? [54]Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». [55]In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. [56]Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.”