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LA PAROLA DI DIO NON E’ INCATENATA (3)

LA PAROLA DI DIO NON E’ INCATENATA (3)

ESERCIZI SPIRITUALI DI AVVENTO 2017

LA PAROLA DI DIO NON E’ INCATENATA (2 Tim 2,9)

Mercoledì 22 novembre - 3° incontro

  1. Inizio raccontandovi una storia inventata da Rubem Alves, teologo brasiliano, filosofo, poeta, educatore, psicanalista e, alla fine ha aperto anche un ristorante…. un uomo fuori misura. In uno dei suoi libri racconta questa storia.

    C’era il gallo che nel pollaio, tutte le mattine, si svegliava prima dell’alba, usciva dal suo riparo e cantava il suo chicchirichì perché diceva: “devo svegliare il sole”. Era molto importante il gallo nel pollaio perché era quello che svegliava il sole tutte le mattine. E tutti lo guardavano con una certa deferenza e quando si arrabbiava minacciava di non svegliare più il sole. Era molto in ansia per questa suo compito, si sentiva schiacciato da una grossa responsabilità, perché se non si svegliava per tempo il sole non sarebbe sorto. Una mattina, accade l’inevitabile. Il gallo non si svegliò. Quando si svegliò più tardi del solito si accorse che tutti erano svegli ed era sveglio anche il sole. Allora il gallo disse: “Come è possibile che il sole sia sorto senza che io lo chiamassi, come ha fatto?” Nel pollaio intanto si diffuse la notizia che non era il gallo a svegliare il sole…e iniziarono a prenderlo in giro. Il gallo andò in crisi nera. Pensava:” Se il sole sorge senza di me viene meno il senso della mia vita” e si domandava “Ma a che cosa servo io, chi sono io?”.

    Fu così che per un po’ il gallo non si fece più né vedere né sentire, finché una mattina al sorgere del sole si sentì di nuovo il suo potente chicchirichì. Gli altri abitanti del pollaio allora andarono dal gallo e, prendendolo in giro, gli chiesero se avesse svegliato lui il sole… Il gallo rispose che non aveva svegliato il sole perché aveva capito che il sole si sveglia da sé. Prima cantava per svegliare il sole, era un illuso, ora cantava perché il sole sorge.

    Ciò che vorrei dire questa sera è questo: il senso della vita religiosa non è cantare per svegliare il sole, è cantare perché il sole è sorto, perché il Signore è vivo, perché Dio è la vita che si diffonde.

    L’annuncio di vita che è partito 2000 anni fa ci raggiunge, noi siamo parte di questa grande onda che attraversa la storia, per dire il Signore è vivo.

    C’è un modo di vivere la vita religiosa come un impegno per svegliare il sole: mi impegno per convincere Dio ad essere buono, mi impegno a convincere Dio a darmi il suo perdono, a me o alle persone che amo. È un impegno da illuso, non funziona così. La vita religiosa è la vita del poeta che canta perché è grato della potenza della vita che sovrabbonda, della gloria del sole che sorge continuamente, è il canto di gioia, di gratitudine, di libertà interiore, perché la vita è bella, è grande, è buona. È il canto di gioia e di gratitudine che condividiamo con il Signore creatore del cielo e della terra, quando si siede e dice: “Che bello!”.

    Nella prospettiva di Gesù, non si può meritare l’amore, l’amore o lo si accoglie, o lo si respinge, non puoi meritarlo, non puoi conquistarlo.

    Alcuni scribi e farisei vedevano che intorno a Gesù stavano volentieri pubblicani e peccatori, peccatori pubblici, quelli il cui nome puzza, con i quali non si sta volentieri. E pensavano che chi sta con della gentaglia è come loro; mormoravano tra di loro ma non andavano a interrogare Gesù, a cercare il confronto con lui. Ma Gesù li guardò e raccontò loro una storia.

    C’era un pastore che aveva 100 pecore. A un certo punto si accorse che una pecora era sparita e allora andò a cercarla e continuò a cercarla finché non la ritrovò e quando la ritrovò se lo caricò sulle spalle, tornò a casa e disse agli amici: “venite che facciamo festa perché ho ritrovato la pecora che era perduta”.

    I farisei facevano fatica a capire anche se era questione solo di buon senso, non era difficile da capire. “Come fate a non capire che io gioisco perché ho ritrovato chi si è perso?”

    Dio gioisce dal fondo di sé, freme di gioia per il fatto che questi scoprono che il sole è sorto su di loro. Dio non sta con i peccatori solo se prima non smettono di fare le cose cattive, ma proprio il contrario, siccome Dio sta con loro, smetteranno di fare le cose cattive, non avranno più bisogno di rubare, e di fare porcherie perché si renderanno conto che il sole è sorto su di loro, non avranno più bisogno delle opere delle tenebre.

    Cosa vuol dire questo per tanti aspetti della nostra vita?

    Primo esempio, la confessione: non mi confesso per convincere il Signore a perdonarmi ma vado dal Signore per accogliere il suo perdono, e, per raccogliere il perdono, devo aprire la porta, devo far entrare la luce del sole, il sole già è sorto e io spalanco porte e finestre, e accolgo e dico: “che bello! Grazie”. Dentro questa luce consegno ciò che resiste alla luce, dentro al raggio di luce che mi avvolge, dentro all’amore che è gratuito e che io raccolgo, consegno, affido a Dio ciò che in me resiste all’amore. “Ti consegno il mio peccato perché me ne voglio liberare, mi impedisce di accogliere e far circolare l’amore, mi impedisce di volare alto”. Ripensiamo alla parabola del figliol prodigo.

    Secondo esempio: la preghiera di suffragio per i defunti non è la preghiera per convincere Dio ad accogliere la mia mamma, per esempio, Dio ha pensato ognuno di noi da sempre, a Lui noi tutti apparteniamo. Non dobbiamo preoccuparci di convincerlo. La preghiera di suffragio non vuole piegare il Signore della vita per convincerlo ad accogliere i suoi figli… La preghiera di suffragio è il nostro modo di entrare nel fondo del cuore del nostro caro e aiutarlo a spalancarsi all’abbraccio di Dio, che è l’unico modo che Lui conosce di venirci incontro.

    Paolo in una delle sue lettere dice che Dio non ha detto un po’ sì e un po’ no ma ha detto sì e basta. In suo figlio Gesù ha detto un grande sì al mondo, alla storia, per sempre. Sì, per sempre, Dio non è indeciso, non dice ti voglio bene se…, dice: “Siate perfetti come il Padre vostro che è nei cieli, che fa piovere sui buoni e sui cattivi, e fa splendere il sole sui giusti e sugli ingiusti” Dio è sovrabbondante. Quando preghiamo per i defunti, allora, noi li accompagniamo a spalancarsi senza paura all’abbraccio di Dio.

    Gesù quando parla del regno di Dio lo paragona a un banchetto dove entrerà chi accoglie l’invito. Non bisogna esibire carta d’identità, o meriti, chi accoglie la luce è dentro.

    Noi abbiamo bisogno continuamente di risintonizzarci sullo spirito di Dio, perché siamo tentati di pensare: “Solo se…”, cioè di porre delle condizioni.

  2. Gesù con i suoi racconti vuole aprirci gli occhi, sturarci le orecchie, liberarci il cuore, renderlo recettivo così da comprendere, vedere le cose come le vede lui, così da cominciare a stare al mondo come ci sta lui.

    Le parabole di Gesù servono per farci capire meglio e guarirci, sono una sorta di terapia.

    Prendiamo ad esempio la parabola dei talenti.

    Dio dà i talenti ai suoi servi e chiede loro di moltiplicarli. La ricchezza che noi riceviamo la dobbiamo far circolare.

    Le parabole sono semi gettati dentro al cuore delle persone, lavorano, maturano, ci fanno pensare, ci interrogano.

    Con quella parabola il Signore mi ha detto che la mia ricchezza è la vita, non devo trattenerla, devo farla circolare, perché se la trattengo perdo tutto ma se la faccio circolare entro a prendere parte alla gioia del mio padrone.

    Il racconto di Gesù vuole trasfigurare il modo che ognuno ha di stare al mondo, il modo di guardare anzitutto se stessi, il modo di percepire le cose. Le parabole sono dinamiche, ci possiamo identificare con i personaggi, non sono concetti o enunciazioni, sono esempi tratti dalla vita concreta. A volte il Signore non le conclude, lascia a noi il compito di concluderle. Non sappiamo, per esempio, se il figlio maggiore della parabola del figlio prodigo, entra a far festa o no. Il Signore sembra chiedere a noi: “e tu cosa fai, entri o no?”

    La parabola della rete: il regno di Dio è come una rete gettata al largo che prende su tutto, poi i pescatori seduti sulla riva separano i pesci buoni da quelli cattivi. Che cosa sta dicendo Gesù in questo modo? Sta dicendo: questo è il tempo in cui si tira su tutto, bisogna prendere tutto, non si può dire a te annuncio il Vangelo, e a te no. Non si può dire tu puoi entrare e tu no. Questo è il tempo in cui tutti si entra, il sole splende su tutti, la pioggia cade sui buoni e sui cattivi. Non è la rete che sceglie i pesci buoni e scarta i cattivi, questo lavoro lo farà Qualcun altro. Arriverà il tempo in cui qualcuno lo farà, ma non è adesso e non siamo noi.

    Qualcuno fa fatica ad accettare un Papa che dialoga. Il Papa getta la rete, non sceglie con chi parlare, parla con tutti e ascolta tutti.

  3. L’annuncio di cui abbiamo parlato in queste sere è un annuncio che vuole generare uno spazio di libertà.

    Vuole renderci liberi, farci volare alto, farci cantare il nostro chicchirichì di fronte al sole che è sorto. La parola di Dio, cioè l’annuncio del Vangelo vuole darci la possibilità di essere liberi, e questo dipende da noi. Non è una parola magica che ci libera, il cammino di appropriazione della libertà è come imparare a camminare, si cade un mucchio di volte, e come imparare a parlare si impara storpiando le parole, chi ha paura di sbagliare non impara mai. Tutti noi impariamo ad essere liberi un po’ per volta.

    Una parola che genera uno spazio di libertà, una possibilità: in cui ognuno possa scegliere se lasciarsi liberare oppure no (il rischio della fede: cfr. questa pagina con quella di Gv 5: “Vuoi guarire?”, e l’altro che accampa scuse…)

    Giovanni capitolo 5, 1-9:

    [1] Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. [2] V’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici, [3] sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. [4] Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l'acqua; il primo ad entrarvi dopo l'agitazione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto]. [5] Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. [6] Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?». [7] Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me». [8] Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». [9] E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare.

    Il malato si sta facendo vittima, trova delle scuse dicendo che nessuno lo aiuta, il Signore non gli ha chiesto se qualcuno lo aiuta, ma: “vuoi guarire?” E cioè la tua grande risorsa è la volontà di guarire, il tuo desiderio di guarire, grida il tuo desiderio al mondo, ti consegno questo spazio di libertà, la possibilità di dire sì o no. Se è un sì, alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina, alza in piedi, datti da fare.

    La parola del Vangelo ci raggiunge e ci dice: “vuoi entrare nel mio modo di stare al mondo, nel mio modo di vedere le cose? Nel mio modo di ascoltare in profondità? Vuoi entrare nel Regno, nel modo di Dio di stare al mondo già ora.

    A queste domande dobbiamo rispondere sì o no, questo è lo spazio di libertà che è consegnato ad ognuno di noi. Che cosa ne farò? È la domanda radicale. Voglio guarire?

    Concludiamo con questa poesia. Io vivo nella possibilità, cioè la vita mi dà delle possibilità sconfinate.

    Io vivo nella possibilità,
    una casa più bella della prosa,
    di finestre più adorna,
    e più superba nelle sue porte.
    Ha stanze simili a cedri,
    impenetrabili allo sguardo,
    e per tetto la volta
    perenne del cielo.
    L’allietano visite dolcissime.
    E la mia vita è questa:
    allargare le mie piccole mani
    per accogliervi il Paradiso.
    (Emily Dickinson)

    Che cosa mi è chiesto? Vuoi accogliermi o no? Vuoi ricominciare con me o no? Non devi fare niente per conquistare devi soltanto accogliere, mi vuoi accogliere o no? Nel fondo di te, della tua stalla mi vuoi accogliere o no?

    Ci prepariamo alla celebrazione del Natale: chiediamo a Dio di consegnarci con fiducia alla parola di Dio che ci vuole liberare, far volare alto, far cantare il nostro canto di gratitudine.