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Babette

IL PRANZO DI BABETTE

CATECHESI 2017-18

IL PRANZO DI BABETTE

venerdì 23 marzo - 4° incontro – La Pasqua nella letteratura

  1. Illusione e realtà (lettura del cap. 1)

     

    “In Norvegia c’è un fiordo – un braccio di mare lungo e stretto chiuso tra le montagne – che si chiama Berlevaag Fjord. […] Sessantacinque anni fa, in una delle casine gialle, vivevano due anziane signore. A quell’epoca altre signore portavano il busto, e le due sorelle avrebbero potuto portarlo con altrettanta grazia, perché erano alte e flessuose. Ma non avevano mai posseduto un oggetto di moda, e per tutta la vita si erano vestite dimessamente, di grigio e di nero. Erano state battezzate col nome di Martina e di Filippa, in onore di Lutero e del suo amico Melantone. […] I suoi accoliti rinunciavano ai piaceri di questo mondo, perché la terra e tutto quanto essa offriva era per loro soltanto una specie di illusione, e la vera realtà era la nuova Gerusalemme verso la quale essi aspiravano” (p. 9).

     

    Illusione e realtà. Ciò che è terreno è illusorio? Ciò che i cinque sensi raccontano è da accogliere con gratitudine o con diffidenza? La materia è amica o è pericolosa? Sussurra di Dio o ne allontana?

    Il mondo vero è quello interiore, spirituale, dice la comunità di Berlevaag. Quello interiore, cioè quello celeste; quello terreno, e quindi a maggior ragione quello che vive al di là degli stretti confini del fiordo, è pericoloso. Occorre anzitutto vigilare per respingere gli assalti del mondo esterno. Entrambe le sorelle sapranno respingere questi assalti, perché solidamente accompagnate dalle due robuste guardie del corpo, i loro severi eponimi, Martin Lutero e Filippo Melantone. Ciò che viene da fuori è subito qualificato come intrusione, come pericolo.

    La materia è pericolosa perché è pesante, mentre lo spirito è leggero e la santità vuole condurre verso l’alto. Il piacere è pericoloso perché lega a sé i corpi e i desideri, tende a far dimenticare che la vera vita è altrove. L’ascetismo radicale delle due sorelle, il bando dalla loro vita di ogni piacere (cibo, arte, affettività sessuale) è una strategia per non cadere nella trappola delle apparenze.

     

    “Per la Congregazione del decano l’amore terreno e il conseguente matrimonio erano argomenti futili, in sé stessi mere illusioni, ma pure è possibile che più d’uno dei Fratelli anziani abbia apprezzato le ragazze assai più dei rubini e ne abbia fatto parola al padre. Ma il decano aveva dichiarato che per lui, nella sua vocazione, le figliole erano la mano destra e la mano sinistra: chi avrebbe voluto privarlo di queste? E quelle belle ragazze erano state allevate nell’ideale d’un amore celeste, e ne erano tanto prese che non si erano lasciate toccare dalle fiamme del mondo” (p. 10-11).

     

    Il cibo, soprattutto, ha valore solo nella misura di strumento per la carità fraterna: “Le figlie del decano si sentirono, poi, preoccupate e sgomente al pensiero del lusso e della prodigalità dei francesi. L’indomani dell’entrata di Babette al loro servizio, esse la convocarono per spiegarle che erano povere, e che per loro sedersi a una mensa di lusso era peccato. Il cibo per loro doveva essere più semplice possibile, ma avevano invece importanza le pentole di zuppa e i cestini per i poveri” (20).

     

    Cfr. l’ascetismo di Pascal: “Se mi è piaciuta la zuppa? Non lo so, avreste dovuto chiedermelo mentre la mangiavo, non me ne sono accorto…”

     

    L’umanità degli anziani discepoli del decano è caratterizzata da una sensibilità ristretta, diminuita, accartocciata. “La vecchia signora Loewenhielm abitava ancora nella sua casa di campagna. Ora era novantenne e sorda spaccata, e aveva perduto totalmente il gusto e l’olfatto. Ma era stata tra i primi sostenitori del decano, e ora né l’infermità né il viaggio in slitta potevano impedirle d’onorarne la memoria” (29). Immagine di una religione incartapecorita, che ha perso ogni sensibilità, richiusa in se stessa e incapace di nutrirsi della bellezza e bontà del mondo e di renderle un canto di lode. “Nel giorno del nostro Maestro noi ci monderemo la lingua da ogni sapore e la purificheremo da ogni godimento o disgusto dei sensi, serbandola e preservandola per le più elevate funzioni della lode e del ringraziamento” (28).

    E anche le relazioni all’interno della setta sono irrigidite e anemiche…I suoi discepoli diventavano ogni anno meno numerosi, più canuti o calvi o duri d’orecchio, e anche più propensi a lamentarsi e a bisticciare, così che nella congregazione si erano avuti alcuni dolorosi casi di piccoli scismi” (10).

    Il cibo è il luogo evidente – dicono i Padri della Chiesa – della mortalità. Mangiamo per non morire. Chi non mangia, muore. Ebbene – dicono i Padri – Dio, per far sì che l’uomo lo trovasse, si è fatto cibo, nutrimento. Come l’animale, che ritorna continuamente alla mangiatoia, dopo ogni suo giro all’intorno, e non se ne sta lontano troppo a lungo, così l’uomo, che torna continuamente al suo peccato perché crede di trovarvi il suo nutrimento. Ebbene, il Figlio di Dio ha voluto nascere in una mangiatoia e farsi cibo per gli uomini, calandosi nel loro peccato, lì dove certamente gli uomini sarebbero tornati a cercar vita.

    Quale è il senso della ascesi, nella tradizione spirituale cristiana? Un esercizio per aprire i sensi, per liberare i canali di comunicazione con il Signore della vita, per accogliere la Grazia divina nella concretezza della materia, che è buona. Il principio è sempre quello rabbinico: “In quel giorno verrà chiesto conto ad ognuno di ogni bellezza di cui non avrà goduto”, di ogni dono non attinto con consapevolezza e gratitudine.

    Cfr. anche l’immagine rabbinica del ladro che entra per depredare… “Un ladro entrò nella tesoreria reale. Rubò alcuni vasi d’oro e, quando stava per uscire, trovò un sacco pieno di monete. Si disse: questo è meglio dei vasi. Mentre cercava di uscire con le monete, trovò un sacco più grande; lasciò il precedente e prese il più grande. Trovò poi delle perle e si disse: questo vale di più, è più leggero da trasportare e più prezioso. Ed ogni volta trovava sempre cose migliori delle precedenti, finchè albeggiò. Allora, lasciò tutto e uscì senza aver rubato nulla, piangendo e lamentandosi: ho rischiato la vita senza prendere nulla!” (in Le ali della Torah, 180-181).

    Il senso della ascesi cristiana è di essere esercizio, appunto: esercizio a far sì che stare al mondo diventi una gioia. Il peccato non sta nel godimento del mondo, ma nel non onorarlo, consumandolo senza goderne!

  2. Le irruzioni del mondo

    Dall’esterno la vita cerca il suo sentiero verso il cuore del villaggio. La vita non accetta facilmente che ci sia un regno congelato, vuole provare a scongelare… (cfr. il giardino del gigante egoista nel racconto di Oscar Wilde; la premura di Marley per aprire gli occhi a Scrooge sulla sua reale condizione di prigioniero di pesanti catene…).

    La vita, con la comunità di Berlevaag, ci prova tre volte: il giovane ufficiale Lorens Loewenhielm e il suo amore per Martina, il cantante d’opera Achille Papin e la sua passione d’artista per Filippa, e la derelitta Babette Hersant, straniera, fuggiasca e dagli oscuri pregressi.

    Nell’atmosfera ascetica e ovattata di Berlevaag, le voci intrusive si spengono rapidamente, come soffocate dalla morbidezza di una luce superiore. Il giovane ufficiale, che tante donne ha corteggiato, perde la sua eloquenza.

     

    “Ora sorgeva davanti ai suoi occhi l’improvvisa e potente visione d’una vita più alta e più pura, senza creditori, senza scadenze e senza prediche paterne, senza rimorsi di coscienza segreti e spiacevoli e con un amabile angelo dai capelli d’oro che lo guidava e lo premiava. […] Seguiva quell’esile figuretta con occhi adoranti, ma odiava e disprezzava la figura ch’egli stesso faceva quando le stava vicino. Era esterrefatto e stordito perché non gli riusciva di trovare qualcosa da dire, o una qualsiasi altra ispirazione nel bicchier d’acqua che gli stava davanti. […] Finora gli era stato facile dire a una bella ragazza ch’egli la amava, ma questa volta le tenere parole gli si incollavano alla gola ogni volta che fissava quel volto di fanciulla […] ‘Me ne vado per sempre!’, le gridò, ‘non ti rivedrò mai mai più! Qui ho davvero imparato che il Destino è duro, e che in questo mondo esistono cose impossibili!’”(11-12).

     

    Si spegne in fretta anche l’ardore del canto di FIlippa e del maestro Papin. “Ho sbagliato […] E questo povero giardino del mondo, pieno di sterpi, ha perso il suo usignolo!” (16)

    La dinamica si ripete per entrambe le sorelle: chi le incontra davvero sente il respiro di una brezza che viene da lontano, da un mondo di un’altra qualità (o piuttosto: da un altro modo di stare nel mondo). Il giovane ufficiale Loewenhielm percepisce il fremito di una rivelazione di grazia divina: “Ora sorgeva davanti ai suoi occhi l’improvvisa e potente visione d’una vita più alta e più pura, senza creditori, senza scadenze e senza prediche paterne, senza rimorsi di coscienza segreti e spiacevoli e con un amabile angelo dai capelli d’oro che lo guidava e lo premiava. […]”. (11)

    Il “divino Achille Papin”, che tra i fiordi norvegesi si sente improvvisamente vecchio e stanco, come un uomo al tramonto, al sentire il canto di Filippa rifiorisce nel pieno ardore della sua passione di artista: “Ho sbagliato a credere che stavo invecchiando. I miei maggiori trionfi hanno ancora da venire! Quando lei ed io canteremo insieme, il mondo crederà di nuovo nei miracoli!” (15)

    Davvero il mondo non ha niente da dare alla santità della comunità religiosa, ed ha solo da riceverne?

  3. Lo straniero che viene da lontano

    “Le sue padrone avevano, dapprima, tremato un pochino, proprio come aveva tremato una volta il decano, all’idea di ricevere sotto il loro tetto una papista. Ma non volevano importunare una creatura già tanto provata con il loro catechismo, e del resto non erano troppo sicure del loro francese. Convennero, in silenzio, che l’esempio di una buona vita luterana sarebbe stato il mezzo migliore per convertire la loro domestica. In questo modo la presenza di Babette in casa diventò, per così dire, uno sprone morale per i suoi abitanti. Avevano diffidato dell’asserzione di Monsieur Papin secondo la quale Babette era capace di cucinare. In Francia, lo sapevano, la gente mangiava i ranocchi” (18).

    “I vecchi Fratelli e le vecchie Sorelle, che dapprima avevano guadrato in cagnesco la straniera capitata in mezzo a loro, sentivano che un felice mutamento era avvenuto nella vita delle loro Sorelline, e se ne rallegrarono e ne beneficiarono” (20).

     

    Lo straniero, che viene da lontano, da un mondo lontano, da oltre, per portare qualcosa di sorprendente, per portare linfa vitale e riavviare una circolazione bloccata: il piccolo Lord Fontleroy nel racconto di Frances Burnett… la piccola, misteriosa Momo senza età e senza ricordi, nel racconto di Michael Ende; gli “eptapodi” in “Arrival”, il film di fantascienza diretto da Denis Villeneuve (portano da lontano agli uomini il dono di imparare a comunicare meglio tra di loro)… Il principe Myškin ne “L’idiota” di Dostoevskij…

     

    L’iniziale diffidenza con cui è accolta Babette lascia un po’ per volta il posto alla fiducia e alla constatazione di quanto la straniera sia affidabile. Rimane straniera, ma non pare pericolosa. Anzi… “Scoprirono che preoccupazioni e ansie erano state magicamente scacciate dalla loro esistenza, e che ora avevano denaro da elargire, tempo per le confidenze e le lagnanze dei loro vecchi amici e pace per meditare su questioni celesti […] La pietra che i costruttori avevano quasi rifiutato era diventata la pietra angolare della casa” (20).

    Ma Babette rimane una donna con i suoi misteri… “Un piccolo fremito gelido le percorreva, e in cuor loro pensavano: ‘Forse, dopo tutto, era stata davvero una pétroleuse’” (20-21).

    La diffidenza emergerà prepotente in forma di paura, di incubo, in occasione della preparazione della cena… si tratterà forse di un sabba di streghe? La mostruosa tartaruga… il folletto dai capelli rossi…

    Che cosa mi sta preparando la vita? Che cosa mi sta preparando il destino? Vivere è doversi preparare ad essere vittime di un inganno? Lo straniero si rivelerà, alla fine, un ingannatore?

  4. Il punto di convergenza: l’arte di Babette (lettura di stralci dai capp. 11 e 12)

    Attorno alla mensa di Babette, al suo dono, convergono l’arte della parola (l’ormai maturo Loewenhielm trova finalmente la parola per il discorso che da giovane non era riuscito a fare), del gusto (“Io sono una grande artista”), del canto (già presente nei sogni sul futuro di Papin). Il sospetto nei confronti della lingua viene smascherato nella sua ridicola povertà. “Eppure – disse un Fratello dalla barba bianca - la lingua è un piccolo membro e si vanta di grandi cose. Non v’è uomo che possa dominare la lingua, calamità sregolata, piena di veleno mortale” (28). La lingua, in cui convergono la parola parlata, il gusto, il canto. Le tre arti e la dimensione religiosa: in che rapporto stanno? La lingua rende gloria a Dio se “parla solo a Dio o di Dio”? (così dicono i primi biografi di san Domenico). Solo quando rinuncia ai piaceri del gusto e si castiga nel digiuno, o accoglie il nutrimento della sola Eucaristia? Solo quando canta le lodi del Signore?

    • Il riscatto della materia. Non più “res cogitans” e “res exstensa” in opposizione. “Chiamare per nome” per entrare in relazione, per poter godere della relazione: se do il nome a ciò che ho davanti lo “faccio uscire dall’indistinto” e lo riscatto dalla banalità, dalla povertà di una esistenza anonima. “Martina rimase allibita quando vide rotolare fino in cucina una carriola carica di bottiglie. Toccò le bottiglie, ne prese in mano una. “Babette, che cosa c’è in questa bottiglia?” chiese sottovoce, “non è vino?” “Vino, madame!” rispose Babette, “no, madame, è un Clos Vougeout 1846!” Dopo un attimo soggiunse: “Viene da Philippe, in rue Montorgueil!” Martina non aveva mai sospettato che i vini potessero avere un nome, e fu messa a tacere” (27). L’anonimato è sempre caotico: cfr. in “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, i nomi delle strade durante l’invasione sovietica… 

       

      Cfr. Padre Augusto Gianola e i nomi dei frutti brasiliani… (P. Gheddo, Dio viene sul fiume, 84-85).Il compito del poeta e del profeta: chiamare le cose con il loro vero nome…Cfr. nell’ultima cena: Gesù e la sua amicizia che diventa corpo e sangue, come l’amore e la gratitudine di Babette (e la sua fierezza di artista) diventano una cena sorprendente e sovrabbondante.

       

    • L’amico francese e il tesoro al sicuro. “…un giorno ella le informò improvvisamente di aver posseduto per molti anni il biglietto di una lotteria francese, e che un amico fedele, a Parigi, glielo rinnovava ogni anno. Una volta o l’altra avrebbe potuto vincere il grand prix di diecimila franchi” (21). Il mio tesoro è nelle mie mani, ma non solo nelle mie mani: un amico fedele lo custodisce. Saperlo mi permette di vivere interiormente libero. C’è un amico fedele che si occupa di rinnovare il tuo tesoro, di tenerlo effettivo… il tuo valore dipende dalla sua amicizia, che è fedele!

    • Imparare ad accogliere il dono. “Babette entrò in salotto, più umile e sottomessa di quanto l’avessero mai veduta, a chiedere un favore, Le pregava, disse, di lasciarle cucinare un pranzo celebrativo per il compleanno del decano […] gli occhi scuri di Babette erano ardenti e supplichevoli quanto quelli d’un cane, e convennero di lasciarle fare a modo suo. Allora il viso della cuoca s’illuminò tutto” (24-25). Babette va più oltre nella sua richiesta: poter cucinare un vero pranzo francese; e poterlo pagare col proprio denaro. Le due sorelle si oppongono. “Babette fece un passo avanti. V’era qualcosa di formidabile in quel gesto, come un’onda che si gonfia. Era venuta avanti così, nel 1871, per piantare una bandiera rossa su una barricata? Parlava, nel suo strano norvegese, con classica eloquenza francese, la sua voce era come se cantasse” (25). La determinazione poderosa a chiedere di poter diventare una donna che dona, e non soltanto che riceve… “ ‘Signore, voi che dite le preghiere tutti i giorni, potete immaginare che cosa significa per un cuore umano non aver preghiere da formulare? Per che cosa avrebbe dovuto pregare Babette? Per nulla! Stasera ha una preghiera da esprimere, dal profondo del cuore. Non sentite, stasera, signore mie, quanto vi giova esaudirla, con la stessa gioia con cui il buon Dio ha esaudito le vostre? […] Il loro consenso, infine trasformò completamente Babette. Capirono che da giovane era stata stupenda. E si domandarono se in quel momento oro stesse non erano, proprio per la prima volta, diventate per lei le “buone persone” della lettera di Achille Papin” (25-26)

       

      E’ cosa divina donare, è cosa divina anche ricevere. Chi non sa ricevere non permette all’altro di esprimere la sua gioia di vivere, la sua natura profonda di “essere in relazione”.
      Cfr. l’immagine cristiana della Trinità.
      Cfr. Pietro di fronte al gesto di Gesù di lavargli i piedi nell’ultima cena.

       

    • Il dono che sovrabbonda, che non si cura di essere riconosciuto come tale… A cena sono seduti attorno alla stessa mensa chi sa “chi è il donatore” ma non comprende la straordinaria qualità del dono, e chi sa “che cosa è, di che qualità è il dono”, ma non ha idea di chi ne sia l’autore. “Non gettate le vostre perle ai porci” (Mt 7,6), cioè fate in modo che le persone sappiano della ricchezza che stanno ricevendo, consapevoli della qualità del dono e dell’identità del donatore…
      Considerare le sorprendenti qualità del cibo e del vino permette a Lowenhielm di ricordare la qualità eccezionale dell’opera di quella cuoca famosa a Parigi, al Café Anglais. Considerare ciò che esiste, la materia, l’arte, il pensiero, la storia… permette di considerare l’eccezionale qualità di Colui che in tutto si esprime e si racconta… per questo il “disprezzo della materia” è un enorme inganno e una stupida illusione. 

    • Il dono gratuito, perché il donatore non si impone, ci si nasconde e ci si racconta dentro. “Il loro cuore si colmò, improvvisamente, di riconoscenza. Si resero conto che nessuno dei loro ospiti aveva detto una parola sul cibo. Anzi, per quanto vi si sforzassero, loro stesse non riuscivano a ricordare una sola delle pietanze che erano state servite” (42).

    • Il dono che scioglie le rigidezze, che genera vita, che diventa sorgente di gioia condivisa. “Di solito, a Berlevaag, nessuno parlava molto mentre mangiava. Ma quella sera, non si sa come, le lingue s’erano sciolte. Un vecchio Fratello narrò la storia del suo primo incontro col decano. Un altro evocò la predica che sessant’anni prima aveva provocato la sua conversione. Una vecchia, alla quale Martina aveva confidato per prima il suo sgomento, ricordò ai suoi amici che nelle avversità ogni Fratello o Sorella sarebbe stato pronto a spartire il fardello dell’altro” (36). “Vecchi taciturni ricevettero il dono della parola, orecchi che per tanti anni erano stati quasi sordi si aprirono per ascoltarla […] Le due vecchie che una volta s’erano calunniate ora, in cuor loro, riandavano verso un lontano passato, oltre l’epoca malvagia in cui erano state ferite, ai giorni della loro prima adolescenza […]” (40) Il dono che permette semplicemente di vivere come è giusto vivere, accogliendo il dono della vita per quello che è: “Le vane illusioni di questa terra s’erano dissolte come fumo davanti ai loro occhi, ed essi avevano veduto l’universo come realmente esso è” (40), cioè al di là (più in profondità) dei loro sospetti riguardo alla materialità come peso e come illusione.

    • Il dono come arte. “ ‘Che volete, mesdames’, disse Babette, con grande dignità. ‘Un pranzo per dodici al Café Anglais costerebbe diecimila franchi’. Le signorine non trovarono ancora una parola da dire. Quella notizia era incomprensibile per loro, ma quella sera tante cose erano state, in un modo o nell’altro, al di là d’ogni comprensione […] Ma a Filippa il cuore si struggeva in petto. Le sembrò che una serata indimenticabile si dovesse concludere con una indimenticabile prova di fedeltà e di abnegazione umane. ‘Cara Babette’, disse con dolcezza, “non dovevate dar via tutto quanto avevate per noi’. Babette avvolse le sue padrone in uno sguardo profondo, in uno strano sguardo: non v’era, in fondo ad esso, pietà, e fors’anche scherno? ‘Per voi?’ replicò. ‘No. Per me’. Si alzò dal ceppo e si fermò davanti alle sorelle, ritta. ‘Io sono una grande artista’ disse. Aspettò un momento, poi ripetè: ‘Sono grande artista, mesdames’” (44).

       

      La commovente e solidissima fierezza di Babette.
      L’amore rende capaci di mettere in gioco il proprio meglio… 

       

    “Proprio perché sono cattolica non posso permettermi
    di essere meno di un’artista”
    (Flannery O’Connor)